Turchia, morto il giudice Kiraz
Epilogo drammatico per il sequestro del procuratore Mehmet Selim Kiraz, rapito il 31 marzo dal DHKP-C, un gruppo terrorista di estrema sinistra, in segno di ritorsione per non aver perseguito i responsabili della morte del giovane Berkin Elvan.
La scintilla che ha condotto alle tensioni di questi giorni era scoppiata due anni fa con la rivolta di Gezi Park, iniziata in segno di protesta contro il progetto di un centro commerciale laddove sorge il parco. Le manifestazioni avevano poi assunto una valenza ben più ampia, esprimendo l’insoddisfazione della comunità civile per la progressiva islamizzazione del Paese e la compressione dei diritti individuali da parte del governo.
Berkin Elvan è assurto involontariamente a simbolo delle rivolte di piazza Taksim dopo essere stato colpito da un lacrimogeno lanciato dalla polizia il 16 giugno 2013 durante la repressione delle rivolte antigovernative. Il ragazzo, etichettato dal premier come un «terrorista», è rimasto in coma per nove mesi, per poi spegnersi l’11 marzo dell’anno scorso.
La morte del quattordicenne, che si trovava nel quartiere Okmeydani per una mera fatalità, ha suscitato particolare sdegno e turbamento nell’opinione pubblica, commossa anche dalla reazione di compostezza dei genitori del ragazzo, che hanno invitato a non rispondere al sangue con altro sangue.
Gli auspici della famiglia di Berkin, tuttavia, si sono rivelati velleitari. Dopo alcuni infruttuosi tentativi di trattativa, le forze di polizia hanno effettuato un’ incursione nel Palazzo di Giustizia di Istanbul, dove il commando si era barricato assieme al giudice; i rapitori hanno perso la vita nel conflitto a fuoco, mentre Kiraz, rimasto gravemente ferito, non è sopravvissuto all’intervento in sala operatoria.
A fomentare ulteriormente le tensioni di questi giorni, la notizia, poi rivelatasi un falso allarme, di una bomba su un aereo della Turkish Airlines; il fermo, ad Antalya, Smirne ed Eskisehir, di oltre trenta individui sospettati di affiliazioni terroristiche; l’arresto di un uomo che ha fatto irruzione nella sede del partito AKP a Istanbul; il black out energetico che ha gettato per diverse ore la città nel buio (non è ancora chiara la causa del dissesto, ma non si esclude l’ipotesi dell’attacco cibernetico); e l’uccisione, durante una sparatoria, di una donna kamikaze che aveva come obiettivo la questura della metropoli (fonte Ansa).
Occorrerà osservare come la parti in causa gestiranno il conflitto a due mesi dalle prossime elezioni politiche, e come questo inciderà sui risultati alle urne; se l’ondata di violenza spingerà gli elettori più indecisi a rivolgersi all’AKP, il partito di Erdogan, o se li porterà a dare fiducia all’attuale opposizione. Intanto il Paese continua a essere scosso dallo spettro del terrorismo.
Twitter: @claudia_pulchra