L’amore per la vita di Marc Chagall al Chiostro del Bramante
Un giorno può succedere che nella vita di un uomo il desiderio di evasione trabocchi come lava dalla pancia di un vulcano. Quando ciò accadde a Marc Chagall «l’atmosfera era carica» a Vitebsk; a Pietrogrado sedeva la Duma di Stato e l’uscita del giornale Retz scandiva come sempre le giornate e il ragazzo che era dipingeva i suoi quadri. Guidato dall’intuito materno che gli suggerisce di fasciare il ventre della puerpera per animarle il corpo conclude La nascita. Nel frattempo arriva Bella, colei che diventerà la sua donna e la sua musa, con un mazzo di fiori. La ritrae. Poco dopo, finito di contare le siepi della città, lavora a Il morto. Misura il polso di tutti i parenti e realizza Il matrimonio. Finito di raccogliere ogni frammento di quello che era il suo mondo si accorge che se fosse rimasto lì per sempre si sarebbe riempito «di peli e di muschio». Dopo aver messo tutto nel sacco della sua memoria identitaria, lo stesso che il celebre mendicante barbuto dei suoi quadri porta sulle spalle, errabondo e in cerca di sé sussurra verso un cielo di cui non ci è dato sapere che colore avesse una commovente invocazione: «Dio, tu che ti celi nelle nuvole, o dietro la casa del calzolaio, fa’ che la mia anima, anima dolorosa di ragazzo balbuziente, si riveli, mostrami la strada. Non vorrei essere uguale a tutti gli altri; voglio vedere un mondo nuovo».
Il resoconto di quella memorabile giornata appare in Ma vie, la sua autobiografia scritta in lingua russa tra il 1921 e 1922 prima di abbandonare Mosca e non prima di aver assaporato gli entusiasmi e la delusione della Rivoluzione; è il preludio del leggendario viaggio di uno dei più grandi pittori del XX secolo; Marc Chagall, artista ebreo fra i più ammirati e stimati del suo tempo.
Al Chiostro del Bramante fino al 26 luglio 2015 si possono ripercorrere i temi fondamentali della sua vastissima produzione tutti sorti dal fantastico mondo della nativa Vitebsk con i suoi lattai, le sue vacche, le capre e i galli, e il violino che oltre a essere un simbolo ebraico, era molto caro all’autore che l’aveva suonato da bambino. La mostra dal titolo esplicativo, Love and Life, nasce con la collaborazione dell’Israel Museum di Gerusalemme fondato nel 1965 e oggi custode delle collezioni di opere d’arte che attraversano la cultura ebraica dalla preistoria al contemporaneo. Da questo prezioso tempio giungono per la prima volta in Italia 140 lavori dell’artista russo; disegni, olii, guazzi, litografie, acquerelli e acqueforti raccontano la sua poetica generata dal legame profondo con la moglie Bella e dal dolore per la sua morte prematura avvenuta nel 1944 e offrono un meravigliosa sintesi di quella grande miscellanea di tradizioni confluite nella sua arte – dalla cultura yiddish delle origini alla culture russa con le sue immagini popolari dei luboki e quelle religiose delle icone fino a quella occidentale da cui assimila i grandi pittori della tradizione da Rembrandt agli artisti delle avanguardie che frequenta con una certa assiduità .
L’esposizione con una vasta selezione di opere grafiche e le sue otto sezioni tematiche «disegna una mappa artistica e spirituale complessa e caleidoscopica che sta a fondamento del profilo apolide» dell’autore. La rassegna, attraverso l’esposizione delle sue illustrazioni di grandi opere come Le anime morte di Gogol, le favole di La Fontaine e la Bibbia (a cui è dedicata un’intera sezione), evidenzia inoltre l’intenso rapporto di Chagall con la letteratura rivelando la sua enorme versatilità. Nei capolavori che raccontano le Scritture l’umanizzazione dei personaggi dell’Antico Testamento ci informano sulla familiarità che l’autore aveva con essi. La religione ebraica con i suoi rituali nutre fin dalla più tenera età lo spirito dell’autore immerso nelle ore serali in quel tempio che «pareva totalmente popolato di santi» dove «lentamente, gravemente, gli ebrei spiegano i loro veli sacri, pieni delle lacrime di tutta la giornata di preghiere». Il pane pasquale, le linee e le immagini dell’Haggadah con i suoi bicchieri colmi di vino rosso segnano indelebilmente la sua giovinezza e tingono con i colori che gli sono propri il suo immaginario. Il sacro permea ogni cosa in quei luoghi dove «perfino la strada prega» e «le case piangono e il cielo passa da ogni parte».
Ad arricchire in modo molto originale la mostra sono le installazioni realizzate con un sistema di proiezioni chiamato “video mapping”; con effetti stupefacenti dal bianco e nero di alcune opere grafiche si sprigiona sulla parete un impasto fumoso che lentamente si trasforma nella corrispettiva opera a colori con l’intento di mostrare come attraverso quest’ultimi Chagall liberasse le sue emozioni.
Bello il guazzo de La passeggiata del 1919 con Bella in aria vittoriosa sulla forza di gravità anche se a meravigliare sopra qualunque altro è l’olio su tela del 1937 de Gli amanti. Da vicino ammalia il suo lucore; al centro della scena la coppia di innamorati è adagiata sopra la vegetazione squillante di un mazzo di fiori, oggetto assurto a simbolo d’amore dopo che da giovane l’artista ne aveva ricevuto in dono uno dalla stessa Bella la quale in Ma vie viene così descritta: «Il suo silenzio è il mio. I suoi occhi, i miei. Sento che mi conosce da sempre, che conosce la mia infanzia, la mia vita di ogg, il mio futuro; come se avesse sempre vegliato su di me, intuendo il mio più intimo essere […]
La contemplazione del guazzo Sopra Vitebsk, composto con grafite e matita colorata su cartone, spalanca d’improvviso le due anime di questo grande poeta del colore. Un vecchio fluttua sopra l’ormai famosa coppia di amanti stretti l’uno all’altro e immersi in uno scenario desolante e innevato; l’immagine di questo mendicante che vola con il sacco e il bastone incarna l’idea di luftmenchn (uomo per aria) creata nella letteratura Yiddish classica da Mendele e Sholem-Aleichem. Come scrive Marcello Massenzio nel suo bellissimo libro La passione secondo l’ebreo errante, edito da Verbarium•Quodlibet «il volo, l’erranza, il vagabondare sono altrettante metafore nelle quali si traduce la sublimazione di una tragica assenza, prodotta dalla perdita dalla perdita del suolo patrio e delle memorie in esso custodite: rispetto ad un tale vuoto, la capacità di muoversi a proprio agio nell’aria può equivalere ad una sorta di meravigliosa compensazione». Sradicato come quei fiori in vaso che aveva dipinto per tutta la vita ma senza mai smarrire la sua innata capacità di librarsi in volo attraverso la sua arte, Chagall non ha mai cessato di esprimere il suo amore per la vita; tanto grande da sopravvivere senza tormentosi strascichi sopra la perdita della sua cara patria e della sua adorata moglie.