Boldirini contro stereotipi e maschilismi linguistici

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Alla vigilia dell’8 marzo la Presidente della Camera Laura Boldrini richiama l’attenzione di colleghi e dell’Italia tutta su sfumature, costumi e generalismi a cui le donne stesse danno poco o pochissimo conto. Si tratta di parole, appellativi e del linguaggio tutto, che nel mondo del lavoro e delle istituioni è volto spesso ad ignorare il genere di chi ricopre un ruolo, una carica. Siamo tutti forse uomini?

La riflessione è arrivata, nero su bianco, in una lettera indirizzata ai colleghi, parlamentari, mentre si svolge l’incontro “Non siamo così. Donne, parole e immagini” incentrato proprio sulla rappresentazione dell’emisfero femminile. La Presidente chiama in causa i dettami dell’Accademia della Crusca per quanto riguarda la redazione degli atti amministrativi e ricorda che, sul piano linguistico, non è corretto “il ricorso al genere maschile per riferirsi a una carica o a un ruolo istituzionale ricoperti da una donna.” Bandite dunque fraseologie come “il Ministro incinta” o “il Presidente”o “il Deputato” in riferimento a donne. Oltretutto, ricordiamo che in questa legislatura si ha il numero più alto di deputate donne mai registrato in Italia, il 30% circa. Perde dunque maggiormente di senso riferirsi a loro con appellativi maschili. La questione, che può sembrare marginale rispetto agli stereotipi e le forzature che ancora pongono in un piano subalterno agli occhi della società, il potere e il ruolo della donna, è invece di estrema attualità. Certo, meno urgente di altre proirità quali lavoro, capacità economica e violenza di genere, ma la parola è il veicolo primo della comunicazione e solo mediante questa si può insinuare l’abitudine a considerare adeguatamente gesti, persone e ruoli. Un modo per dare alle donne ciò che è delle donne e ancor di più per riconoscere le conquiste ottenute nel corso degli anni. Il suono, cacofonico che certi appellativi appaiono avere se coniugati al femminile, è solo frutto dell’abitudine. Parola è anche e soprattutto uno strumento di inclusione o all’estremo, di messa al margine, dunque il maschilismo nell’uso di questa va ripensato. E se ci ripetiamo da anni che il problema della discriminazione di genere sia innanzitutto una questione culturale, è allora dalle piccole cose che bisogna agire per dare dignita e il giusto ruolo ad ognuno. Comunicazione oggi equivale anche a pubblicità e il riferimento al termine dell’incontro della Presidente è chiaro: “Quella pubblicità dello stereotipo anni 60′ non ci restituisce più il ruolo che noi abbiamo nella nostra società”.