Diritto all’aborto, il Parlamento europeo dice sì. E no.

«Il Parlamento europeo insiste sul fatto che le donne debbano avere il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi, segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto». 441 voti a favore, 205 no e 52 astenuti: il Parlamento ha detto sì alla risoluzione dell’eurodeputato belga Marc Tarabella sulla parità tra uomo e donna.

Schermata 2015-03-10 alle 18.55.58Non sono bastate le polemiche e le alzate di scudi delle associazioni antiabortiste cattoliche, spalleggiate da tutte le destre (estreme e non) d’Europa: i sì sono stati schiaccianti e la risoluzione – che riflettendo sulla situazione del 2013 chiede un maggiore impegno per colmare le disuguaglianze di genere – è passata interamente, anche nel suo punto più controverso: quell’articolo 14 relativo a «contraccezione e aborto». Parità salariale, violenza sulle donne, congedo di maternità e paternità – le “sfide” individuate dal testo di Tarabella – sono stati largamente condivisi, ma a spaccare il Parlamento, e in alcuni casi gli stessi partiti, è stato proprio il passaggio sui diritti alla salute sessuale e riproduttiva, leggi diritto all’aborto. Già nel dicembre del 2013, un’analoga mozione sull’«aborto sicuro e legale in Europa», presentata da Edite Estrela, fu impallinata ancor prima di essere votata. No, non dalla destra ultracattolica: in quell’occasione a risultare decisiva fu l’astensione degli eurodeputati in quota Pd Silvia Costa, Franco Frigo, Mario Pirillo, Vittorio Prodi, Patrizia Toia e David Sassoli. Nomi da ricordare quando i Dem sproloquieranno di quote rosa ergendosi a paladini del gentil sesso.

Oggi, il sito del Partito Democratico festeggia il voto, «Un passo avanti, tutte e tutti insieme, in Europa». All’interno del partito, però, la realtà è molto meno rosea. Alla vigilia del voto, i parlamentari cattolici in quota Pd avevano valutato la possibilità di votare contro la risoluzione, decisione fortunatamente evitata. Luigi Morgano, però, ha reso noto di essersi astenuto e la deputata Silvia Costa, presidente della Commissione Cultura del Parlamento, ha fieramente ribadito via Twitter di aver votato la risoluzione solo grazie all’emendamento presentato dal Ppe (e approvato) che ribadisce che la legislazione su sessualità e riproduzione è di esclusiva competenza nazionale, vanificando di fatto l’esito del voto, già di per sé non vincolante per i Paesi membri. Votare una risoluzione e contemporaneamente un emendamento che la rende carta straccia, dire “sì” ma anche “no”, potrebbe sembrare un controsenso, ma questo non sembra toccare i deputati Pd che, del resto, hanno dimostrato sprezzo della logica anche in patria poche settimane fa, con il voto sul riconoscimento dello Stato Palestinese.

diritto abortoÈ proprio l’emendamento del Partito Popolare Europeo a ridimensionare, se non ad annullare, la portata della votazione di oggi. Una grande vittoria simbolica, senza dubbio, ma nei fatti nulla di nuovo. I singoli Stati continueranno ad avere legislazione assoluta in materia di aborto e contraccezione e difficilmente le leggi di tutti e ventotto i paesi membri sosterranno «misure e azioni volte a migliorare l’accesso delle donne ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e a meglio informarle sui loro diritti e sui servizi disponibili». Tutto resterà esattamente come ieri e i diritti sessuali e riproduttivi, in molti Paesi, saranno ben lontani dall’essere «garantiti». Ne sanno qualcosa le donne italiane per cui, nonostante la legge 194/1978, disporre liberamente del proprio corpo è sempre più difficile a causa di un numero sempre maggiore di obiettori di coscienza – che raggiungono picchi del 100% in alcune città – e di legislazioni restrittive sull’impiego dei contraccettivi d’emergenza. O quelle spagnole, che hanno dovuto lottare nelle piazze e in Parlamento contro la legge proposta dal primo ministro Mariano Rajoy che avrebbe riportato il Paese al 1985, fortunatamente ritirata perché «non c’è consenso sufficiente». Lo sanno, meglio delle altre, quelle irlandesi, cui la legge (votata nel settembre del 2013) consente l’aborto esclusivamente nei casi in cui la vita della donna sia a rischio ma non in caso di stupro, incesto, anomalie del feto o fattori socio-economici o psichici.

Il voto di oggi, per le donne, è una vittoria a metà. Per l’Europa, è una vittoria a metà. Altro che «diritto fondamentale di tutte le donne in Francia, in Europa e nel mondo» come ha stabilito il Parlamento Francese: in molti Paesi l’aborto è ancora un privilegio da difendere. Il corpo è delle donne, è vero. In tanti, troppi casi, però, a gestirlo è sempre lo Stato.