“Il Califfato del terrore”, l’ultimo libro di Maurizio Molinari
«Abbiamo i barbari alle porte di casa. Vogliono portare il terrore nelle nostre città, decapitare i passanti, stravolgere la vita di milioni di persone, obbligarci a rinunciare alle libertà civili e precipitarci in un Medioevo sanguinario. A muoverli è l’ideologia della jihad, la volontà di combattere gli «infedeli», di imporre su ognuno la versione più estrema e intollerante della sharia, la legge islamica» (Il Califfato del terrore).
In occasione dell’uscita del suo ultimo libro, abbiamo intervistato Maurizio Molinari, corrispondente de La Stampa a Gerusalemme, su quali siano gli obiettivi della jihad e perché riguardino l’Occidente così da vicino.
Lei descrive l’ISIS come un progetto ben più ambizioso delle altre organizzazioni di origine jihadista. Qual è il fine ultimo del Daesh?
Lo Stato islamico di Abu Bakr al-Baghdadi si propone di creare un Califfato panislamico capace di abbracciare tutti i territori abitati da musulmani, eliminando gli sciiti, schiavizzando i “pagani”, come vengono definiti curdi e yazidi, e riducendo a “minoranze protette” cristiani ed ebrei. E’ un progetto totalitario, oscurantista, che si nutre dell’insoddisfazione popolare esistente il molti Paesi arabo-musulmani.
Dinanzi a cosa, per ipotesi, si placherebbe la sua furia?
Il Califfato per definizione è sempre in movimento, non a caso il suo motto è “Consolidarsi ed estendersi”. L’estensione serve anche a trovare risorse per garantirsi un forte consenso interno.
Qual è l’atteggiamento prevalente del mondo musulmano sunnita verso lo Stato Islamico?
Quattro Paesi stanno conducendo colloqui per creare una forza militare araba congiunta anti-jihad: Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania e Arabia Saudita. I leader del Cairo e di Amman, Abdel Fattah Al Sisi e re Abdullah, condividono anche la necessità di una “rivoluzione religiosa” per estirpare la Jihad dal seno dell’Islam. Il Grande Imam dell’ateneo di Al –Azhar è d’accordo. Resta da vedere con quale determinazione ed efficacia guiderà tali sforzi.
Quali sono, ad oggi, i rapporti tra ISIS e Al-Qaeda?
Lo Stato Islamico (Isis) nasce da Al Qaeda in Iraq, fondata nel 2005 da Abu Musaq Al Zarqawi per ordine di Osama bin Laden. Ma Al Zarqawi poi si ribellò a Bin Laden e anche l’Isis, con Al-Baghdadi, ha continuato nella spaccatura con Ayman al-Zawahiri. Tale divaricazione nasce da una differente priorità: Al Qaeda vuole imporre la jihad ai musulmani espellendo le potenze straniere dal Medio Oriente, mentre Al-Baghdadi punta a controllare da un punto di vista fisico, amministrativo, ogni terreno, strada e ponte nel lungo termine.
Nei giorni successivi alla strage nella redazione del settimanale Charlie Hebdo uno degli articoli più condivisi in rete è stato l’editoriale apparso sul New Yorker. Che cosa pensa di queste tesi?
E’ vero che il jihadismo è anzitutto un’ideologia basata su due pilastri: il ritorno alle legislazioni vigenti alle origini dell’Islam, ovvero circa 1400 anni fa, e l’identificazione personale con la violenza. E’ un’ideologia che nasce con Hassan Al Banna, quando nel 1928 in Egitto i locali Fratelli Musulmani si mobilitano contro l’”occidentalizzazione della società” promossa allora dal padre della Turchia laica Ataturk, innescando un estremismo che da allora è cresciuto nel mondo musulmano prima attraverso il wahabismo saudita, poi con i salafiti egiziani e quindi con Bin Laden ed Isis. E’ un’ideologia che, attraverso i decenni, si è rafforzata e consolidata. Per questo oggi fa più paura.
Recentemente Fareed Zakaria ha sottolineato come il Corano non punisca la blasfemia; tuttavia la strage in Francia ha avuto come obiettivo la satira. Come si giustifica quest’attacco?
Fareed Zakaria appartiene a un gruppo ristretto di intellettuali americani che sin dalla campagna presidenziale del 2008 ha spinto Obama al “dialogo con i fondamentalisti”. E’ lo stesso messaggio che il leader turco e l’Emiro del Qatar hanno convogliato a Washington, spingendo il Presidente a sostenere i Fratelli Musulmani, quando nel 2012 guidarono l’Egitto.
Cos’è che temono, principalmente, i terroristi?
I terroristi temono i musulmani non-jihadisti. Per questo sono i loro primi avversari.
Perché i leader religiosi, pur deplorando l’ondata di violenza, non esprimono una chiara condanna nei confronti dell’ISIS?
E’ un processo lento, si tratta di isolare chi, dentro l’Islam, predica la violenza legittimandola con richiami al Corano e a Maometto. Il grande imam della moschea di Al-Azhar ha parlato in più occasioni in favore di questa “rivoluzione religiosa”. Non è ancora chiaro chi lo seguirà, ma possono esserci pochi dubbi sul fatto che è questo il fronte più importante nella risposta all’ Isis.
Nell’immaginario collettivo si pensa ai cosiddetti foreign fighters come a degli individui ai margini della società; tuttavia è recentemente emerso un altro identikit di combattenti occidentali. Come si spiega la fascinazione dell’ISIS nei confronti di giovani istruiti e immigrati di seconda o terza generazione?
Si spiega con il fatto che si tratta di una ideologia e in quanto tale si moltiplica attraverso coloro che hanno la cultura per riconoscervisi. In ultima istanza si tratta di una ideologia illiberale, anti-democratica e anti-europea. Se gli immigrati di prima generazione arrivarono in Francia, Gran Bretagna o Olanda per trovare in Europa prosperità e diritti, i loro figli e nipoti esprimono un rifiuto brutale dell’Europa. E’ un corto circuito avvenuto nel seno dell’UE.
Mi ha molto colpito leggere dell’abolizione di musica, arte e filosofia nelle scuole della jihad. Perché queste discipline sono considerate «devianti»?
Perché costituiscono valori alternativi alla Jihad, la cui ambizione è il dominio assoluto – dei cuori e delle menti – di ogni cittadino e residente, anche dei più piccoli.
Twitter: claudia_pulchra