Una voce minacciosa si leva dalle spiagge libiche, quella del premier Abdullah al Thani: «Agite subito o avrete lo Stato Islamico in casa!». Ora che la bandiera nera sventola su Derna, anche in Italia comincia a riaffiorare una parola ormai per noi desueta: guerra. Si parla d’intervento dell’Onu ma, che siamo militarmente all’altezza oppure no, è fondamentale capire il contesto in cui si dovrebbe operare, e sembra che non abbiamo idea né di come lo troveremo né di come dovremmo lasciarlo.

La Libia è attualmente lacerata da una guerra di bande rivali, spezzettata in micro-stati. Ci sono milioni di tribù libiche di cui non sappiamo nulla e ci illudiamo di trovare soluzioni diplomatiche con realtà che ci sono completamente estranee. A quattro anni dalla rivolta contro Gheddafi possiamo prendere atto del fallimento di un processo democratico e stabilizzante nel Paese. La “primavera libica” sembra polverizzata e sotto l’occhio dormiente dell’Occidente milizie diverse, tra cui quelle jihadiste, hanno guadagnato terreno. Il post-Gheddafi ha lasciato il Paese lacerato in due governi diversi e contrapposti. C’è il governo laico di Abdullah al-Thani, nato nel giugno 2014 con il riconoscimento della comunità internazionale, che per ragioni di sicurezza ha dovuto spostare la sua sede a Tobruk, in Cirenaica, ai confini con l’Egitto, lontano 1300 chilometri da quella Tripoli che non riesce a controllare. A Tripoli infatti, nella stessa estate del 2014, le milizie filo-islamiche di Fajr Libya (in gran parte composte dagli ex ribelli di Misurata) hanno imposto un governo parallelo, guidato da Omar al Hassi, il quale, privo di riconoscimento internazionale, ha posto la sua sede nell’hotel Corinthia. Si tratta di milizie vicine ai Fratelli Musulmani.

scenario Libia

Se la Libia si limitasse a essere spaccata in due sarebbe tutto molto più semplice, ma lo scenario reale è estremamente più complesso. A due passi da Tobruk, la città di Derna ha già giurato, lo scorso autunno, fedeltà allo Stato Islamico e al califfo Al-Baghdadi. Da allora i jihadisti conquistano terreno e, dalla Cirenaica, si sono spostati nelle scorse settimane verso Tripoli, forti del dichiarato appoggio dei “Partigiani della Sharia” (Ansar al Sharia), un gruppo di ispirazione quaedista, nato dalle ceneri della rivolta del 2011, che controlla le città di Bengasi e di Sirte, lasciando aperta la porta alle truppe dell’Isis. Con un sanguinoso attentato all’hotel Corinthia lo scorso 27 gennaio gli uomini del califfo hanno attaccato anche i filo-islamici di Fajir Libya, a cui il Qatar è accusato di fornire armi e approvvigionamenti. La Libia è una polveriera pronta a esplodere, per le frammentate milizie che ne solcano il territorio e per le diverse mire di Paesi più o meno amici che vi gravitano intorno. L’Egitto, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi appoggiano il governo di Tobruk (l’Egitto in particolare è nemico dei Fratelli Musulmani), la Turchia e il Qatar le truppe di Misurata. In Libia non è chiaro chi eserciti una vera autorità e in questo vuoto è cresciuto florido il califfato. E ora tocca scottarsi con quest’inferno.

 

@Fra_DeLeonardis