Le ripercussioni del voto in Grecia
In Grecia, nei sei anni trascorsi dall’inizio della crisi, la disoccupazione statistica ha raggiunto il 28%; quella reale, probabilmente, il 35%; quella giovanile il 50%. Sono state tagliate pensioni e stipendi, sospesi dal lavoro decine di migliaia di impiegati pubblici, 180.000 tra piccole e medie imprese hanno chiuso dal 2010, la mortalità infantile è aumentata del 43%, il numero dei suicidi è cresciuto insieme a quello dei disturbi depressivi malgrado, anzi grazie, soprattutto, ai piani di salvataggio, all’austerità e alle massicce privatizzazioni imposte dalla Troika. Oggi il PIL della Grecia veleggia verso un asfittico +0,7%, non lontano dalla media dell’Eurozona; gli indicatori di fiducia nei consumi sono ai minimi e a meno di una settimana dalle elezioni di Atene si ricomincia a discutere di default e uscita dall’Euro. L’agenzia Fitch ha degradato l’outlook del rating greco (B) da stabile a negativo. Si calcola che dalle banche greche vengano ritirati più di cinquanta milioni di Euro al giorno per un totale che avrebbe già raggiunto quasi tre miliardi negli ultimi mesi, mettendo di nuovo in difficoltà la liquidità delle banche. Il grande spauracchio dell’Europa e dei mercati sembra essere la probabile vittoria di Syriza, guidata da Alexis Tsipras, che gli ultimi sondaggi danno vicino il 35% con 4 punti di distacco su Nuova Democrazia, del premier uscente Samaras. Gli altri partiti non sembrano avere possibilità; con i centristi vicini al 10%, Alba Dorata intorno al 6% e il Pasok, giunto al termine della sua parabola politica, ridotto ormai sotto il 5%. Sarà dunque gara a due.
A meno di una rimonta almeno parziale di Nuova Democrazia, col premio di maggioranza che assegna una cinquantina di seggi al primo partito Tsipras potrebbe anche trovarsi in condizione di governare da solo. La posizione di Tsipras prevede di restare nell’Euro rinegoziando il debito e i piani di rientro, interrompendo così l’austerità e ridando fiato all’economia ellenica e ai fondi per il welfare. Nei piani di Syriza la rinegoziazione delle regole europee e del debito dovrebbe essere affidata a una Commissione Internazionale simile a quelle che venivano istituite per trovare un accordo sui debiti di guerra. Riguardo all’Euro, quindi, Tsipras non ha una posizione estrema, tutt’altro; sarebbe, anzi, per restare in un sistema monetario che ha strozzato la Grecia e quasi tutte le altre economie periferiche, puntando invece il dito contro l’austerità (e negando quindi la biunivocità del legame tra questa e l’Euro) come ormai fanno, almeno a parole, la metà dei politici europei. Questa posizione, che i “No Euro” definiscono velleitaria e destinata a ricreare le medesime condizioni del presente disastro, già basta di per sé a spaventare i mercati e l’UE. Soltanto la Germania, in controtendenza e dopo averlo negato per anni, ha detto che oggi, un’uscita della Grecia dall’Euro, sarebbe una soluzione praticabile. Viene da chiedersi cosa sia cambiato a Berlino, ma la risposta non porta a una maggior fiducia della tenuta europea, bensì alla diminuzione dell’esposizione dei creditori del nord verso la Grecia ridottasi, grazie ai sacrifici e all’austerità, abbastanza da poter assorbire senza strappi la successiva svalutazione. Non sembrano vederla allo stesso modo però diversi analisti, preoccupati per il default, per la corsa agli sportelli e, come ad esempio si dichiara in un articolo di Bloomberg Business Week, soprattutto per il pericolo contagio. L’ipotesi è che di fronte a un drastico tracollo della Grecia con successiva fase di panico sui mercati, innescata o meno dalle elezioni, gli speculatori internazionali potrebbero decidere di attaccare anche gli altri Paesi europei in difficoltà, con possibile reazione a catena e disgregazione incontrollata dell’eurozona. Comunque la si pensi su Syriza e su Tsipras, è triste constatare sotto quale ricatto i cittadini greci si recheranno alle urne ed è altresì triste pensare che l’impalcatura europea, per mantenere la quale hanno distrutto un Paese e messo in ginocchio un Continente, abbia così tanto da temere dalla libera espressione del voto popolare e per la sola eventualità che vinca un leader che molti di noi accuserebbero di essere timido nella sua strategia verso l’Europa e l’Euro.
Il 25 Gennaio forse i greci voteranno per qualcosa di più che per un cambio di governo o forse, invece, non cambierà niente.
Non resta che aspettare.
Twitter: @aramcheck76