Dagli Usa un test che misura i pregiudizi
Pensate di essere liberi da ogni preconcetto e vi dichiarate contrari a ogni forma di discriminazione? Pensate che, per voi, uomini e donne, bianchi e neri, omosessuali ed etero, grassi e magri, normodotati e disabili, siano tutti uguali? Un test, messo a punto dal professore dell’Università di Washington Anthony G. Greenwald, potrebbe farvi cambiare idea.
I pregiudizi sono duri a morire. Sicuramente lo sono ancora di più quelli che siamo convinti di non avere. Possiamo credere in cuor nostro di essere liberi da ogni condizionamento, ma non possiamo escludere che il germe del pregiudizio alberghi dentro di noi. Nel tempo ci costruiamo schemi mentali e associazioni che ci portano ad avere determinate sensazioni e attitudini verso gli altri, in base a caratteristiche quali colore della pelle, genere, aspetto e orientamento sessuale. Attitudini che si radicano nel nostro subconscio e agiscono, a livello inconsapevole, come lenti attraverso cui filtriamo la realtà. La sincera convinzione di non essere razzisti, omofobi o superficiali, dicono gli studi del Professor Greenwald – a capo del Project Implicity – non esclude l’implicit bias o, come lo ha definito Vox, «i pensieri sulle persone che non pensavi di avere». Per questo, oltre ad aver pubblicato assieme al collega Mahzarin R. Banaji “Punto cieco: i pregiudizi nascosti delle persone buone”, dalla metà degli anni novanta ha elaborato l’Implicit Association Test (IAT), che permette di valutare le associazioni compiute dalla mente a livello inconscio tra i volti delle persone e giudizi di valore.
«La distinzione capacità-intenzione è come la differenza tra il nascondere volontariamente qualcosa a qualcuno o nasconderla inconsciamente a se stessi. Il Test d’Associazione Implicita rende possibile l’esplorazione di entrambe le dinamiche», si legge sul sito. L’IAT – disponibile sul sito dell’Università di Harvard anche in lingua italiana – «misura atteggiamenti e credenze implicite che le persone non vogliono o non sanno dichiarare» attraverso una serie di associazioni tra un carattere distintivo e concetti positivi o negativi. Nonostante – come riporta Linkiesta – del progetto si stia molto discutendo negli Stati Uniti sulla spinta delle tensioni razziali esplose dopo gli omicidi di Mike Brown e Eric Gardner, è possibile testare il proprio bias non solo relativamente alle etnie: ci sono otto test, dedicati a genere, razza, disabilità, età, peso, nazionalità, sessualità e colore della pelle. I pregiudizi impliciti non devono essere sottovalutati, perché sono estremamente pervasivi e possono plasmare le nostre credenze, modificare il modo in cui trattiamo le altre persone e influire su questioni sociali e politiche più grandi.
Dall’integrazione degli immigrati ai diritti degli omosessuali, dal trattamento ricevuto in uffici, scuole, ospedali, dall’uguaglianza davanti alla legge al mondo del lavoro, non c’è ambito che non risenta dei pregiudizi inconsci, che danno vita a una discriminazione sottile e, per certi aspetti, più difficile da combattere. I risultati dei test, va detto, non sono positivi, ma questo non significa che le cose non possano cambiare: del resto, il primo passo per superare un problema è ammettere di averlo. C’è già chi, come Axa, corre ai ripari con corsi formativi nell’azienda: «Abbiamo pertanto implementato, per tutti i dipendenti, un programma di formazione sui pregiudizi inconsci, per aiutarli a capire meglio di cosa si tratta oltre che a individuare e gestire i preconcetti ottimizzando interazioni e decisioni», ma anche i colossi del web sembrano essere consci del problema. Il primo segnale è arrivato da Google, che dice di aver creato un apposito laboratorio per esplorare i pregiudizi inconsci sul posto di lavoro, e nella stessa direzione sembra muoversi anche Linkedin, non solo promuovendo per il 2015 un piano di sostegno alle donne che lavorano nel settore tecnologico dell’azienda ma, auspica Caroline Gaffney, sviluppando un progetto che studi e aiuti a eradicare tutti gli implicit bias.