L’anticorruzione all’italiana: Expo, Mose, Mafia Capitale coincidenze o cattive abitudini?
Mafia Capitale ha prodotto i suoi frutti, venerdì 12 dicembre in conferenza stampa il Presiedente del Consiglio e il ministro Orlando hanno ri-annunciato quello che da bravo you touber Renzi aveva anticipato in streaming. La misure essenzialmente quattro, essenzialmente “timide” per gli addetti ai lavori ma almeno un primo passo. Quattro punti che prevedono in soldoni: 1) innalzamento delle pene per la corruzione da 6 anni a 10 anni laddove la legge Severino prevede da 1 a 5 anni di reclusione. 2) La “confisca allargata” dei beni efficace anche nei successivi gradi d’appello, anche quando è intervenuta causa estintiva del reato oggetto di accertamento, anche nei confronti di terzi estranei al reato ed anche in caso di morte del reo. 3) La restituzione del maltolto, l’imputato per chiedere il patteggiamento o l’emissione di condanna a pena predeterminata dovrà restituire l’intero ammontare del prezzo o del profitto oggetto di reato. E’ l’anticorruzione all’italiana.
Provvedimenti, chiaramente, ancora non in vigore ma approvati dal Consiglio dei Ministri ed inseriti nel disegno di legge di riforma della giustizia già presentato dal Governo il 29 agosto. Sarà l’iter parlamentare a determinarne il futuro, nel frattempo, arrivano le prime reazioni. Come si vedrà al primo punto non vi è un intervento diretto sulla prescrizione, i tempi di questa si auspicano saranno allungati per effetto dell’innalzamento delle pene. Altre perplessità vengono invece sollecitate dagli stessi magistrati in trincea sul fronte dell’anti-corruzione da Raffaele Cantone ( Commissario dell’autorità anticorruzione) sino a Giuseppe Pignatone ( Procuratore di Roma, responsabile dell’inchiesta Mafia Capitale) ma anche Franco Roberti (Procuratore Nazionale Antimafia). Le principali annotazioni, infatti, adducono ad un approccio ancora in punta di piedi del Governo in tema di lotta ai “colletti bianchi”. Si sottolinea la mancanza di un sistema premiale per coloro che decidono di denunciare il fenomeno corruttivo. Si propone di introdurre la possibilità di estendere le norme sulle intercettazioni e gli strumenti utilizzati, oggi, per la lotta alla mafia anche a quella contro la corruzione. Va inoltre sottolineato come molte delle proposte messe in campo da Renzi non siano del tutto inedite, ad esempio, nel caso dell’aumento di pena esso era già presente del ddl Grasso (la cui diretta approvazione avrebbe fatto risparmiare tempo) mentre di confisca “allargata” se n’era già parlato in Commissione antimafia con annesso disegno di legge. Vien da chiedersi, quindi, perché già ad agosto il Governo non abbia presentato tali provvedimenti? Perché attendere l’ennesima bufera e non agire in via preventiva, sollecitando con la stessa enfasi di ora gli attuali provvedimenti. E’ inoltre curioso come il 4 dicembre, il giorno dopo l’exploit dell’inchiesta capitolina, proprio il Partito democratico abbia votato contro l’utilizzo delle intercettazioni del senatore Azzollini ( Presidente della Commissione bilancio) e il rinvio in giunta di quelle del compagno Papania, l’uno indagato per la presunta maxifrode da 150 milioni di euro al porto di Molfetta, l’altro indagato a Palermo per aver garantito appalti in cambio di assunzioni clientelari. Coincidenze o cattive abitudini. Resta il fatto che il Partito Democratico risulta implicato in tutti e tre gli scandali dell’anno da Expo a Mose sino a Mafia Capitale. Tuttavia, Il Premier come al solito è ottimista, rassicura e scaccia via le preoccupazioni di un’Italia che neanche Tonino Guerra con il suo “L’ottimismo vola” se la sarebbe sentita di scongiurare. Tre scandali in un anno e ci è voluto “Er guercio”, 39 arresti e 100 indagati per convincere l’esecutivo della necessità di una norma sull’autoriciclaggio, norma tra l’altro dai confini incerti laddove non punisce chi autoricicla denaro sotto forma di beni personali. Chissà se anche il finanziamento della propria campagna elettorale rientra in tale definizione o se anche le “cene eleganti” e promozionali fanno parte del pacchetto. Coincidenze o cattive abitudini.
Che poi alla fine è sempre colpa dei gufi, dei disfattisti se in questo paese un’opera costa il quintuplo rispetto al resto d’Europa. Si attacca più l’indignato che l’indagato che almeno se la cava con la presunzione di innocenza. Nessun garantismo per chi critica anche se analizzando le carte delle inchieste ci accorgiamo che non solo i controllati coincidono con i controllori (vd Mose, Consorzio Venezia Nuova ) ma il sistema di appalti fa più acqua della laguna veneziana. A nulla contano le false fatturazioni, gli appalti vinti al ribasso per opere il cui costo viene progressivamente gonfiato e i tempi di consegna biblici persino per il marciapiede di condominio. Senza contare le perizie fatte dai figli ad aziende che grazie al padre si accaparrano i lavori o gli avanzamenti di carriera inspiegabili: “Io vi do tutti gli appalti se favorite la mia carriera” ( Angelo Paris, direttore contratti per Expo). Alla fine, la colpa è sempre di coloro che hanno ancora la forza di schifare l’apparato, di quelli che storcono il naso e che non nascondono la sabbia sotto il tappeto ma protestano, parlano e si interrogano. Saranno coincidenze, cattive abitudini tutte italiane e è vero come dice il Presidente del Consiglio che non bisogna fare dell’Italia il Paese dei ladri, almeno il Premier prenda atto però che i Diabolik, quelli veri, siedono ai posti comando.
Fonti: www.governo.it