Marrakech celebra Jeremy Irons
MARRAKECH – Perfino un inglese di razza come Jeremy Irons perde il selfcontrol e manifesta tutta la sua emozione davanti alla folla che lo applaude con entusiasmo scomposto nell’immensa Jemaa El Fna, una delle piazze più celebri del mondo per la suggestione dei suoi colori, le luci, la varia umanità.
L’attore, ospite del Festival internazionale di Marrakech, è sul palco allestito sulla piazza davanti ad un gigantesco schermo per presentare Die Hard – Duri a morire del 1995 in cui era il terrorista tedesco che metteva in difficoltà Bruce Willis, un film d’azione e di sparatorie, perfetto per un pubblico così vasto ed eterogeneo. La proiezione di film popolari sulla piazza è una delle iniziative più felici del Festival di Marrakech, quest’anno alla 14ma edizione. Jeremy Irons è un affezionato della manifestazione, è qui per la quarta volta, la prima fu nel 2001, poco dopo l’attentato alle Torri di New York, e qui tutti ricordano le sue motivazioni di allora: “Sono qui perché ho sentito che molti colleghi, soprattutto americani, hanno rifiutato di venire da questa parte del mondo. Io penso invece che sia giusto esserci, come segno di pace e contro ogni pregiudizio”. Quest’anno è una delle personalità alle quali il festival rende omaggio, presentando una retrospettiva di suoi film e un premio che gli è stato consegnato da Laetitia Casta e che l’attore ha accolto con sincera gratitudine. “Sto bene a Marrakech, mi piace questa terra, mi piace la sua luce, i suoi spazi”, e, negli incontri con la stampa, ricorda che “il primo film che mi ha fatto innamorare del cinema è stato Lawrence d’Arabia, avrei voluto essere come lui, vivere la sua magnifica avventura. Avrei voluto anche gli occhi azzurri di Peter O’Toole”.
Con leggerezza e autoironia parla generosamente della sua carriera, cominciata alla televisione nel 1971, a 23 anni, poi tanto teatro, classico e moderno, un’ottantina di film, una collezione di premi, compreso l’Oscar nel 1990 per Il mistero Von Bulow di David Cronenberg. “L’Oscar è stato importante per il mercato americano, ma non ha cambiato le mie scelte. Accetto di partecipare a blockbuster commerciali per permettermi il lusso di piccoli film indipendenti. Se non avessi fatto la serie sui Borgia, non avrei potuto finanziare Trashed“. Che è il documentario in cui, nel suo impegno per l’ecologia, Irons gira il pianeta per mostrare la devastazione dovuta ai rifiuti e all’eccesso di sfruttamento delle risorse. Coerente con se stesso, negli ultimi titoli della carriera ci sono High-rise, un piccolo film inglese sulle difficoltà della convivenza in un palazzone popolare e Batman versus Superman, in cui, dice, “interpreto Alfred, un uomo meraviglioso che tutte le donne verrebbero sposare”. Ma nell’immediato futuro c’è il cinema italiano. Dopo Bertolucci (Io ballo da sola) e Zeffirelli (Callas forever), sarà protagonista del prossimo film di Giuseppe Tornatore, La corrispondenza, le riprese dovrebbero cominciare l’1 gennaio. “Non vedo l’ora di cominciare, Tornatore è un grande regista, rientra nella tradizione del cinema italiano più bello che amo profondamente. Il mio personaggio è un astrofisico, il film è una storia d’amore, complessa ma romantica”.
Tra gli omaggi del festival di quest’anno ci sono quello al cinema giapponese, all’attore egiziano Adel Imam, alla produttrice marocchina Khadija Alami. Un’accoglienza particolarmente calorosa ha ricevuto il tributo a Viggo Mortensen, che il pubblico ha salutato con entusiasmo alla presentazione di Far from men, un film da Camus che è stato girato nel deserto, a pochi chilometri da Marrakech. Il festival, che tra le varie sezioni comprende un concorso, si concluderà sabato 13, con la consegna dei premi. Nella giuria internazionale, presieduta da Isabelle Huppert, c’è anche Mario Martone (fonte Repubblica).