Atac diventa made in China?
Come è tristemente noto, sugli autobus romani si viaggia gratis oltre che male. Quando va bene è un passeggero su cinque ad essere in possesso del biglietto, e quando arrivano i controllori, quegli esseri considerati quasi mitologici (poiché incontrarli è una rarità oltre che un privilegio), chi non ce l’ha scende comodamente e aspetta il prossimo mezzo. Se passa. Un anno fa si vociferava persino il ripristino del leggendario bigliettaio, altra figura mitologica, ma sarebbe venuto a costare troppo. Così la pacchia è andata avanti e lo scrocco continua ad impazzare. Ma dall’Estremo Oriente qualcuno tende una mano verso l‘Atac: forse i cinesi della King Long (Drago Dorato)? Chissà se riusciranno a far vidimare questo benedetto biglietto.
È proprio così, presto il trasporto su gomma nella Città Eterna potrebbe avere gli occhi a mandorla: l’Atac, infatti, con i conti in rosso e segnata negli anni scorsi dallo scandalo di “Parentopoli”, punta proprio sulla Cina. E nonostante all’orizzonte, almeno per ora, non ci sia alcuna privatizzazione in vista, c’è già chi vede in queste mosse l’anteprima di una futura liberalizzazione. L’Atac non svende, ma cerca partner interessati a darle una mano, ed è il rinnovo della flotta bus ad offrire la possibilità di ingresso a soci stranieri, così come dice l’assessore ai trasporti Guido Improta: “A noi interessa sviluppare partnership internazionali perché l’importante è rilanciare Roma come meta di collaborazioni industriali di livello mondiale. Siamo in trattative con dei partner cinesi che sono interessati anche al perimetro industriale di Atac”.
Tra i partner possibili i francesi dell’azienda Bollorè che potrebbero affiancare Atac nella fornitura di bus elettrici. Ma la novità è l’interesse di partner cinesi al meccanismo del leasing. Il piano industriale di Atac infatti prevede che un terzo della flotta venga rinnovato proprio attraverso il meccanismo del leasing. “Per questa tipologia di partnership si sono fatti vivi i cinesi”, dice ancora Improta. “Chiaramente hanno come interesse di entrare in un grande mercato europeo e Atac vuol dire non solo Italia ma anche Europa. Sono interessati a capire meglio le modalità di queste operazioni”.
C’è da dire che la storia tra Atac e partner cinesi non è sbucata fuori dal nulla, ma era già iniziata sei anni fa. Nel 2008, infatti, l’azienda di trasporto aveva reso nota una consulenza per cercare di ridurre il traffico e contenere lo smog a Pechino in occasione delle Olimpiadi, e una delegazione di dodici tecnici della Bpt (Beijing Public Transport), società di trasporto pubblico della capitale cinese, aveva partecipato a un corso di formazione specifico a Roma (come se da noi si sapesse cosa fare con lo smog). Adesso, accantonato lo smog, i cinesi ritornano all’attacco, e forse non è un male così grande come mormorano alcuni scettici.
Eppure, lo stesso Guido Improta, in un’intervista radio di qualche giorno fa, aveva annunciato che fino al 2019 il Comune non intendeva privatizzare Atac, e poi ecco sbucare la sorpresa dei partner cinesi, che, come da prassi, dopo essere rimbalzata su siti Internet e social network, ha destato subito un certo scalpore e sollevato svariate polemiche. In molti infatti hanno scritto su twitter “Vogliono svendere Atac ai cinesi“, ma l’assessore si è subito prodigato nel rilasciare un’altra dichiarazione in modo da delineare meglio l’ambito dell’alleanza e chiarire dubbi e perplessità: “La trattativa riguarda un eventuale leasing che permetterebbe di rinnovare un terzo del parco mezzi di Atac. Per il momento stiamo verificando la compatibilità economico finanziaria dell’offerta, poi entreremo nel merito della trattativa”.
Tuttavia, secondo fonti in Campidoglio, l’ipotetico socio cinese potrebbe come contropartita acquisire una quota di Atac. La questione, dunque, non appare troppo chiara. Spezzando una lancia a favore della questione, va riconosciuto a questa partnership il merito di poter risolvere lo spinoso problema del parco mezzi. Su 2300 veicoli fra bus e tram, ogni giorno ne escono in servizio appena 1700 (o forse meno) e di questi altri 200 rientrano subito in deposito per guasti o problemi tecnici: dunque servirebbero risorse economiche (che non ci sono) per comprare nuovi mezzi. E qui entrano in gioco i cinesi. Ma se la Cina salverà l’Atac i romani impareranno, oltre a vidimare il biglietto, anche a parlare mandarino?