“Nella città nuda”, New York secondo Antonio Monda
Com’era bella Manhattan, con la sua potenza, la sua frenesia, il suo deserto di milioni di persone.
Continuava a piangere, ma non voleva reagire con rabbia. Si combatte ogni giorno, e ogni giorno si cade tante volte. Questo non ricordava chi glielo avesse detto, ma non era importante. Quando vide il sole che brillava sui tetti dei grattacieli pensò che non c’è nulla che scompaia per sempre. (Antonio Monda, L’America non esiste).
Era dalla lettura della vicenda di Nicola e Maria, i due giovani emigrati negli Stati Uniti, che desideravo intervistare Antonio Monda. Scrittore, collaboratore alla pagina culturale della Repubblica, docente alla New York University, tra i suoi ultimi libri Nella città nuda, un’antologia di storie di personaggi newyorkesi ispirate da una raccolta di scatti fotografici, e La casa sulla roccia, un romanzo sull’amore, la passione, la felicità e la nostalgia. Leitmotiv di queste storie è la città di New York, scenario privilegiato nei romanzi di Monda per raccontare la vita, la speranza e il sogno Americano. Con queste parole ci ha descritto alcuni dei tanti volti della metropoli.
Nel suo Nella città nuda lei accenna all’Eunuco Femmina di Germaine Greer. Quando New York può diventare un deserto?
New York può diventare un deserto come ogni altra metropoli. Ma la dimensione di potenza energia e desiderio della città rende questa condizione più straziante e a volte insostenibile.
Della città colpiscono la volizione, le straordinaria energia, il dinamismo. Qual è il rapporto della metropoli con l’idea di sconfitta? New York perdona un insuccesso?
Francis Scott Fitzgerald sosteneva che “non esiste un secondo atto nelle vite americane”: un’affermazione pessimista, smentita dalla passione americana per il “comeback”, il rientro vittorioso. A New York ogni cosa viene vissuta in una dimensione esasperata, come se non esistano scudi di protezione e ognuno si trovi nudo di fronte al proprio destino.
New York è la città dalle mille opportunità – «una madre», la definisce ne L’America non esiste. Qual è il prezzo da pagare? Che cosa chiede questa realtà in cambio del successo?
Truman Capote diceva che non esiste città al mondo dove è ugualmente inebriante perdersi e ritrovarsi. Il rischio è quello di perdersi senza ritrovarsi e di raggiungere un successo sterile.
La metropoli sembra essere molto più che un semplice sfondo alle storie che lei racconta. Ne La casa sulla roccia scrive che «condiziona tutto, anche i sentimenti». Non è un male la voracità di New York? È il contraltare alla sua vitalità?
Io ritengo che la voracità sia un rischio inevitabile, ma non necessariamente un male. Ed è l’effetto della vitalità, non il contraltare.
In una puntata di Central Park West lei ha parlato della Penn Station e della libreria Rizzoli, rase al suolo per ragioni di profitto. La cultura, anche in un polo artistico come New York, soccombe necessariamente di fronte all’utile?
Anche questo è un rischio, ma nonostante ciò New York rimane tuttora la capitale culturale del mondo.
C’è qualcosa di cui si sente davvero la mancanza nella vita newyorkese? Una promessa disattesa, un sogno che la metropoli non ha soddisfatto?
Forse vivo ancora in una dimensione romantica, ma dopo oltre vent’anni non ho ancora registrato autentiche delusioni. Molte difficoltà, certamente, come anche momenti di solitudine e disagio, ma la promessa è sempre la stessa, e New York consente perennemente di vivere nella sensazione che “the sky is the limit”.
Una curiosità: nei suoi libri un tema ricorrente è quello del pugilato. Come nasce la passione per questa disciplina? È davvero «lo sport al quale tutti gli altri vorrebbero assomigliare», come diceva George Foreman?
Si, credo sia proprio così: nella sua brutalità è lo sport più puro ed essenziale. Ed il più eterno: non è un caso che sia lo sport maggiormente trattato dalla letteratura e dal cinema, e se ne parli anche nella Bibbia. Nei miei libri lo uso anche per enfatizzare l’idea di sfida costante del paese nel quale vivo.
Twitter: claudia_pulchra