Usa: pistole giocattolo, vere morti e nessun colpevole
Morire a dodici anni per una pistola giocattolo. Una pistola giocattolo straordinariamente somigliante a una vera. È successo a Cleveland, Ohio, dove i poliziotti, intervenuti dopo la segnalazione di alcuni testimoni, hanno freddato un ragazzino che brandiva un’arma finta.
Secondo le ricostruzioni, gli agenti sarebbero intervenuti dopo alcune telefonate: un adolescente afroamericano sta sventolando una pistola contro le persone in un parco pubblico, avevano detto. Di fronte alla richiesta della polizia di alzare le mani, il ragazzo avrebbe le avrebbe invece abbassate in direzione della cintura, verso la pistola ad aria compressa: un gesto che gli è stato fatale.
Gli hanno sparato allo stomaco. Alcuni giorni di agonia, poi non c’è stato più niente da fare.
Qualcuno l’aveva modificata, quella pistola, rimuovendo il tappo arancione che la distingueva da una vera semiautomatica. Per molti, per troppi, questo sarebbe un motivo sufficiente per giustificare i poliziotti, costretti a sparare per salvare la pelle di fronte a un potenziale criminale armato.
La realtà è che laddove è possibile che un dodicenne abbia una pistola si pensa che sia una pistola, in un posto dove non è possibile che un dodicenne abbia una pistola si pensa che sia un giocattolo, a prescindere dal tappo.
Secondo le registrazioni della polizia, poi, il testimone che ha chiamato il 911 per dare l’allarme ha premesso che la pistola potesse essere finta e che il sospetto era un ragazzino «nero»: agli agenti intervenuti, però, questa conversazione non è stata riportata. Lo hanno scoperto da soli dopo la sparatoria che quella brandita dal dodicenne era un’arma ad aria compressa.
Ora i due agenti, un veterano e la recluta che ha premuto il grilletto, sono in congedo amministrativo, in attesa che siano concluse le indagini. Indagini che, si teme, non porteranno alcuna giustizia.
La sentenza del Grand Jury chiamato a decidere se incriminare per omicidio Darren Wilson, il poliziotto che il 9 agosto ha sparato a Michel Brown a Ferguson, del resto, dimostra quanto sia difficile sottoporre le forze dell’ordine a giudizio: non ci sarà alcun processo per stabilire se vi siano delle responsabilità da parte del poliziotto. Non ci sono sufficienti prove, hanno detto i dodici giurati (di cui solo tre di colore), le testimonianze sarebbero contradditorie e l’ipotesi che Wilson abbia agito per legittima difesa sarebbe confermata. Sei colpi alla parte anteriore del corpo, di cui uno (quello fatale alla testa) – sembra – sparato quando il diciottenne disarmato era già a terra, sarebbero legittima difesa. E per le strade torna a esplodere la rabbia, stavolta per una decisione che sembra uccidere di nuovo Michel, perché nega alla famiglia e alla comunità la certezza di un giusto processo che possa stabilire come sono andate le cose in quella notte d’agosto. Da giorni, ormai, le proteste contro una polizia avvertita come sempre più violenta e pronta ad abusare del proprio potere, verso quelle forze dell’ordine accusate di avere un’impostazione paramilitare e razzista, infiammano i quartieri di Ferguson e le piazze delle principali città statunitensi.
E già si torna a parlare di telecamere in dotazione agli agenti per dissuadere i poliziotti dal grilletto facile e poter fare immediatamente chiarezza sulla dinamica di situazioni controverse. Perché, insomma, non si ripeta una nuova Ferguson. Sembra che anche oltreoceano sia impossibile controllare le derive delle forze dell’ordine e punire i responsabili. Secondo il Quartz, «raramente i poliziotti americani che uccidono sono incriminati», un’affermazione che i numeri sembrano confermare: tra l’aprile del 2009 e il dicembre 2010, su oltre duemilasettecento ufficiali coinvolti in incidenti interrogati per quanto riguardava l’uso della forza (in oltre quattrocento casi per aver ucciso i sospettati), solo un misero 3% ha subito processi o altri procedimenti. E anche qualora venga formulata una formale accusa e avviato l’iter penale, le condanne sono molto spesso minime. L’impunità di Wilson non è un’eccezione dei civilissimi Stati Uniti, è la norma, e in tutti gli States ci sono centinaia di Michel Brown che non avranno giustizia.