Euro: si può uscire a sinistra?
La disgregazione dell’ Euro è una questione spinosa per la sinistra italiana, oggi che il tema del suo superamento è abbracciato da un numero sempre maggiore di forze politiche, incluse formazioni rilevanti come M5S e Lega, e che le evidenze economiche parlano della crisi più lunga e più dura dall’Unità d’Italia, ostinarsi nella difesa della moneta unica rischia di trasformarsi in una trappola mortale. Il PD ha investito, per usare le parole di Fassina, un capitale politico enorme nell’operazione Euro, abbandonarla sembrava insostenibile fino a ieri, quando Cuperlo e lo stesso Fassina, hanno cominciato a porre la questione (inascoltati) anche tra i democratici. Delicata anche la posizione di SEL e del sindacato che non si sono accorti, e avrebbero dovuto, che l’Euro è stato pensato e viene coerentemente gestito, come una blindatura per imporre la svalutazione salariare, lo smantellamento del welfare e la meridionalizzazione dell’Italia e degli altri paesi periferici.
Una parte della sinistra che invece aveva compreso i termini della questione per tempo e alcuni di quelli che perlomeno avevano capito che il problema Euro cominciava a porsi, seppur la conversione sia in qualche caso avvenuta di recente, si sono riuniti in convegno sabato pomeriggio a Roma all’interno dell’iniziativa “La sinistra e la trappola dell’Euro”. Annunciati all’incontro l’economista Emiliano Brancaccio (L’austerità è di destra e sta distruggendo l’Europa), Vladimiro Giacché (autore di Anschluss e di Titanic Europa), Enrico Grazzini giornalista che collabora con Micromega e Sbilanciamoci, Leonardo Mazzei del Movimento Popolare di Liberazione, Paolo Ferrero di Rifondazione e, annunciato ma poi assente, lo stesso Stefano Fassina.
La questione dell’uscita è la base del dibattito, le declinazioni specifiche della possibile attuazione (come uscire?) e le diverse visioni politiche su quanto possa essere largo un fronte anti-euro unito e politicamente sostenibile, ne sono il succo. Cambiano gli accenti che nel caso di Mazzei tornano al tema della sovranità, un concetto che a sinistra è caduto vittima innocente della polarizzazione internazionalismo-nazionalismo dicotomia non in grado da sola di esaurire l’esistente. Altri toni nel caso di Ferrero su un anti-liberismo tutto sommato europeista e la disobbedienza politica ai trattati. Grazzini presenta una proposta nel mezzo tra la morte per austerità e i rischi di un’uscita unilaterale, il progtetto si basa su una doppia circolazione in cui lo Stato da liquidità a famiglie e imprese attraverso l’emissione dei CCF (certificati di credito fiscale) di fatto una pseudo-moneta garantita dal Ministero del Tesoro, pronto a riprendersela al momento di pagare le tasse. La proposta somiglia a quella avanzata qualche mese fa da Paolo Barnard secondo i dettami della Modern Money Teory di Warren Mosler, non abolisce l’Euro e non è chiaro se, come ad esempio sostiene Brancaccio, non finisca poi per essere conteggiata come debito e non come sconto fiscale (permesso dall’eurozona), in essenza una mossa di aggiramento contro l’austerità. Quando poi Grazzini commette l’errore di citare Prodi, la platea per poco non lo sbrana e qualcuno si alza infuriato interrompendo più volte l’intervento. Chiaramente più netto sulla necessità di uscire Vladimiro Giacché, già coinvolto in diverse iniziative con l’associazione Asimmetrie di Alberto Bagnai, più critico anche verso l’architettura della UE, l’unico a ricordare come l’Europa, senza che se ne discuta, ci stia portando sulla questione Ucraina al rischio di un’assurda guerra la Russia. La platea applaude, io per primo. L’intervento più applaudito è forse però quello di Emiliano Brancaccio, che si spende su diversi temi, tra cui la necessità di una posizione no-euro marcatamente di sinistra, non conciliabile con quella che Brancaccio chiama l’egemonia sul tema no-euro dei gattopardi e degli ultranazionalisti di destra, possibili futuri protagonisti di una sintesi dialettica perversa. Brancaccio ribadisce l’insostenibilità tecnica dell’Euro, una tendenza oggettiva verso ulteriori crisi bancarie, inevitabili visto che le insolvenze delle imprese continuano ad aumentare nei paesi della periferia e si riducono, malgrado la crisi, in Germania. Quindi le linee principali del dopo Euro: controllo sui movimenti di capitale e limitazione degli scambi con i paesi che applicano deflazione salariale competitiva, come già discusso dall’ILO (International Labour Organization). Brancaccio invita a non inseguire le destre mantenendo viva la soggettività politica della sinistra, difficile però non notare come questo implichi smontare pezzo per pezzo l’attuale modello capitalista, un progetto talmente ambizioso da non sembrare in linea coi tempi in accelerazione del disastro italiano.
Qualcuno in questi anni ha forse frainteso tra globalizzazione e internazionalismo del lavoro, altri non hanno saputo riconoscere nella costruzione Europea un gigantesco processo di attuazione su scala continentale delle peggiori politiche neoliberiste, certificate dai trattati, inclusa la Shock Therapy per i paesi debitori. Compagni abbiamo sbagliato, non è facile da dire e certe volte non basta. Dopo il vuoto siderale degli ultimi anni oggi anche a sinistra si alzano voci diverse, discutono, creano un dibattito oltre il pensiero unico, ma assumono purtroppo rilevanza in uno spazio politico che si restringe, con una classe operaia che si riconosce ormai blandamente soltanto nella FIOM, milioni di lavoratori completamente depoliticizzati preda dei populismi di ogni colore e giovani comprensibilmente insensibili alle forme politiche della generazione che li ha preceduti, sarà un’impresa anche soltanto farsi ascoltare e riconoscere. A fine convegno resta la convinzione che si possa uscire dall’Euro da sinistra, cioè favorendo e promuovendo una nuova fase di progresso sociale, che è tuttavia molto più probabile che ciò non accada e che, se anche dovesse in parte accadere, non è chiaro affatto chi ne potrebbero essere i reali protagonisti e quale la loro precisa storia politica.
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