Entrare in sala con la consapevolezza di assistere a qualcosa di incompleto non è certo la miglior sensazione per chiunque si appassioni alla settima arte. Lo sanno bene i fan del Signore degli Anelli (e del prequel-spin off Lo Hobbit), Matrix, Harry Potter…e da oggi ne saranno ben consapevoli anche i follower letterari dell’eroina Katniss Everdeen, protagonista della trilogia di Hunger Games. All’inizio fu il genio di Suzanne Collins, che seppe miscelare il già radicato malcontento per sistemi politici imposti dall’alto assieme ad un senso di alienazione e riscatto, il tutto in tre nutriti volumi di fantascienza della saga Hunger Games.

La sinossi a cui si è ispirata la trasposizione cinematografica è ben chiara: nella futuristica e iper-organizzata nazione di Panem ogni anno si organizzano gli Hunger Games: giochi in cui una lotta per la sopravvivenza diventa companatico per una popolazione sottomessa a colpi di panem et circenses. Tributi giovanissimi, casualmente selezionati dai 13 distretti di cui si compone la nazione, si ritrovano a combattere in un’arena appositamente creata per l’occasione, sotto l’occhio instancabile delle telecamere. In coda al precedente capitolo però Katniss (Jennifer Lawrence) aveva messo il punto ai giochi, scoccando una simbolica freccia di ribellione contro l’oppressore.
Il canto della Rivolta, terzo ed ultimo capitolo, sarà il risveglio delle coscienze, una lotta a forte componente psicologica tra il presidente Snow (l’oppressore per antonomasia) e l’audace Katniss, divenuta la Ghiandaia Imitatrice, simbolo di speranza per i popoli. Due sole frecce scoccate in oltre 100 minuti di film e la consapevolezza che questo primo lungometraggio è solo una preparazione alla resa dei conti finale. Migliorano a vista d’occhio le interpretazioni di Jennifer Lawrence e Liam Hemsworth, mentre Julianne Moore (interprete del personaggio di Alma Coin) e Donald Sutherland (nei panni del Presidente Snow) si confermano dei fuoriclasse, malgrado la rigidità e l’autorevolezza di cui sono costretti a rivestirsi. Rimpianto (e non è retorica) Philip Seymour Hoffman, capace nel rendere incapace il regista Francis Lawrence di rimpiazzarlo con artifici virtuali. L’intera sua interpretazione, al netto di due soli dialoghi tagliati o riadattati per altri personaggi, sarà infatti presente nelle due parti di Hunger Games: il canto della rivolta.

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