Brasile: scontro finale
Dopo i precedenti commenti sulle elezioni in Brasile (1 e 2), eccoci finalmente al punto d’arrivo. Oggi si comincia a votare e, come anunciato, sarà un durissimo testa a testa tra Dilma Roussef e Aecio nNeves a determinare le sorti del Brasile, e magari di buona parte dell’America Latina, per i prossimi anni.
Si è infatti chiusa ieri una campagna elettorale durissima, dove non sono mancati attacchi personali e prese di posizione autorevoli. L’ex presidente Lula è sceso nell’agone politico quasi fosse lui stesso a dover sfidare Neves, e ha definito questa campagna elettorale come “la più conflittuale della storia del Brasile“.
Oggi, pertanto, si gioca il secondo turno delle elezioni presidenziali; nel quale si affrontano due progetti di governo radicalmente diversi: il primo, incarnato dal Partito dei Lavoratori (Pt) di Dilma Roussef, di “centro”sinistra (una parola molto ambigua se la consideriamo nel paragone con il centrosinistra italiano, al cui confronto il Pt è di sinistrasinistra), che punta a sulla giustizia sociale e l’integrazione e, seppur con qualche apertura nei confronti dei mercati, mantiene stretti rapporti con il bacino socialista latinoamericano; il secondo, con il Partito Socialdemocratico del Brasile (Psdb) di Aecio Neves, decisamente conservatore e neoliberista, sostenuto tra gli altri dal Club Militar – i cui membri, militari in pensione, difendono la dittatura imposta al Brasile tra il 1964 e il 1985 –, e con lo sguardo puntato verso Washington.
La partita è decisiva, molto più di una finale mondiale, e, in quasi tutti i comizi più importanti, l’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva, nonostante i problemi alla gola, è stato al fianco di Dilma, per difendere il leggero vantaggio di cui gode nei sondaggi e per tenere botta agli attacchi di Neves che ha definito la candidatura della Roussef “insensata”. La candidata socialista ha invece affrontato le zone povere del paese, raccolto il sostegno dei movimenti gay e ambientalisti e soprattutto dei gruppi indigeni e afrodiscendenti.
Nonostante i voti confluiti dall’appoggio del Psb di Marina Silva, astro nascente che al primo turno ha fatto la fine di Icaro, Aecio Neves resta in svantaggio, anche perché tutti i voti di sinistra nel paniere della Silva (gran parte dovuti al suo passato spiccatamente ambientalista) sono passati alla Roussef dopo la decisione di sostenere Neves – tra questi i musicisti Caetano Veloso e Gilberto Gil.
Per ora i sondaggi parlano di un 54% a favore della candidata uscente contro il 46% dello sfidante. E nonostante Aecio continui a presentarsi come l’uomo di fiducia dei mercati, e quindi della crescita, i risultati mostrati da Dilma, che ha ammesso i propri errori, non lasciano spazio a tanta propaganda: aumento del salario minimo e dell’accesso al credito, drastica diminuzione di povertà estrema, disoccupazione e mortalità infantile.
Di più la carismatica guida del partito dei lavoratori si è detta favorevole a un piano di riforme costituzionali presentato a settembre da oltre sette milioni di brasiliani, che, con consultazione popolare organizzata dal Movimento popolare di sostegno a un referendum sulla riforma del sistema politico (che raccoglie oltre 400 organizzazioni e circa 2.000 movimenti popolari, ha chiesto a gran voce un’Assemblea costituente per rifondare il sistema sociale e politico del paese.
Oggi il Brasile va al voto, e speriamo resti in quel 54% di paesi latino americani governati da governi progressisti o socialisti, perché qui nel vecchio continente abbiamo bisogno di esempi da seguire e alternative da rincorrere.