Il Mercante di Venezia, ancora Albertazzi

Martedì sera, il Teatro Quirino ha accolto, ancora una volta, Il Mercante di Venezia portato in scena dalla regia di Giancarlo Marinelli, la compagnia e l’interpretazione di Giorgio Albertazzi. Al suo ingresso il pubblico libera spontaneamente un applauso, che ritorna più volte nel corso delle due ore e mezzo della rappresentazione. Gli attori in scena sono tanti, per un prova non facile. Il Mercante di Venezia è davvero una delle opere più sfuggenti di Shakespeare, così sospesa tra tragedia e commedia, tra il riso e l’amarezza, che il pubblico moderno percepisce fortissima nel monologo-simbolo di Shylock sulla condizione umana dell’ebreo. Il suo valore tocca corde profonde, anche quando, a causa di qualche inceppo tecnico, la voce degli attori risulta flebile e lontana.

In questo quadro, Venezia si presenta come una festa a porte aperte. I giovani corrono su è giù lungo i suoi canali, alla ricerca dell’amore e della bellezza. Per questo la scenografia, un grande ponte sull’acqua che crea un secondo piano per la rappresentazione, si unisce alle visualizzazioni multimediali di voli di gabbiani e ombre notturne. Non sfugge una ricerca raffinata dell’estetica nei numerosi cambi d’abito e nella ricchezza dei costumi.

Albertazzi non è l’unico attore in gioco, pur essendo quello che raccoglie il punto di maggiore focalizzazione e attenzione della rappresentazione. Accanto a lui ci sono Franco Castellano, nel ruolo di Antonio, Stefania Masala, in quello di Porzia, Francesco Maccarinelli in quello di Bassanio e un nutrito seguito di giovani interessanti e accattivanti. Procedono quasi parallelamente due vicende: quelle dei giovani, impegnati nei loro intrighi amorosi, e quelle degli adulti, inaspriti dal possesso del denaro o dalla sua assenza, infine disperatamente soliA questo proposito la scelta di rimaneggiare il testo, soprattutto nel suo finale, sembra coerente con il desiderio di sottolineare il valore ambiguo ed effimero dell’opera, specchio dell’esistenza. Da una parte Antonio che chiama Bassanio senza ottenere nessuna risposta, dall’altro il mercante rovinato che getta in terra alcune monete, avvicinato solo dall’estrema umanità del servo che l’aveva in precedenza abbandonato.

Gli abbandoni in generale, sono molti sulla scena: Jessica abbandona il padre, ma poi anche Lorenzo sparendo nella notte, Porzia abbandona Bassanio che aveva ceduto l’anello all’avvocato e così via. Il vivido senso della precarietà, che è così insistente nel teatro di Shakespeare, viene reso da una nota malinconica e sognante. La presenza di Albertazzi gioca indubbiamente un ruolo importante in questa definizione dei temi caldi: una figura così piccola e fragile, eppure tanto potente e volitiva. A fine spettacolo si appropria del palco parlando della sconfitta della Roma e della bisnonna di 106 anni. In questo storico attore italiano, risiede senza dubbio lo spirito immortale dell’opera di Shakespeare, il segno indelebile del tempo che fugge e non passa mai.

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