Riina-Don Ciotti: chi fa più paura?

Dal carcere duro di Opera, Totò Riina, pericoloso e potente boss di Cosa Nostra minaccia Don Luigi Ciotti, uomo semplice, sacerdote con il Vangelo sempre in tasca e le mani sempre tese verso l’altro. Ma perché tanta paura di un solo prete?

Le intercettazioni pubblicate da La Repubblica, risalgono al 14 settembre scorso, vigilia del ventesimo anniversario dell’omicidio di Padre Pino Puglisi; sono le solite chiacchierate tra Riina e il suo compagno d’ora d’aria, Alberto Lorusso, boss della Sacra Corona Unita, ascoltate in diretta dagli investigatori della Dia di Palermo. A rendere irrequieto Riina sembra essere il desiderio della Chiesa di rilanciare il messaggio del prete di Brancaccio, ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno e beatificato lo scorso anno. «Questo prete- afferma Riina in riferimento a Don Luigi Ciotti– è una stampa e una figura che somiglia a padre Puglisi; il quartiere lo voleva comandare. Ma tu fatti il parrino, pensa alle messe, lasciali stare… il territorio, il campo, la Chiesa, lo vedete cosa voleva fare? Tutte cose voleva fare iddu nel territorio… cose che non ci credete». Don Ciotti prende le distanze da questo paragone con Padre Puglisi, «Sono un uomo piccolo e fragile» afferma, preferisce definirsi un membro della «Chiesa che interferisce». Ma il punto é proprio questo: c’è una Chiesa che interferisce? O gli uomini consacrati, che si impegnano ogni giorno per il bene comune, sono solo persone stra-ordinarie? Nel dialogo Riina-Lorusso, l’ex boss di Cosa Nostra ha poi minacciato di morte il sacerdote presidente di Libera «Ciotti, Ciotti, putissimu pure ammazzarlo…Salvatore Riina, uscendo, è sempre un pericolo per lui… figlio di puttana». Nella Chiesa che interferisce, queste parole non fanno paura, «la forza si trova nel “noi“, è un “noi” che vince» ripete anche in questa occasione Don Luigi, un “noi” che racchiude vent’anni di lotta contro la criminalità organizzata attraverso l’associazionismo laico e attraverso la testimonianza del Vangelo da parte di un sacerdote che non si impone con catechismo e magistero ma dimostra l’amore per Dio e per gli altri attraverso l’impegno quotidiano, «Per me l’impegno contro la mafia- afferma Don Ciotti- è da sempre un atto di fedeltà al Vangelo, alla sua denuncia delle ingiustizie, delle violenze, al suo stare dalla parte delle vittime, dei poveri, degli esclusi».

 

«Sono sempre agitato perché con questi sequestri di beni…”; è con questa frase a metà del Boss di Corleone che, ancora ora oggi, l’intuizione di Rognoni e La Torre e la legge sul riuso sociale dei beni confiscati ai malavitosi si dimostrano le armi più potenti per la lotta contro la mafia. «Quei beni restituiti a uso sociale segnano un meno nei bilanci delle mafie e un piu’ in quelli della cultura, del lavoro, della dignita’ che non si piega alle prepotenze e alle scorciatoie – prosegue Ciotti – C’e’ una mentalità che dobbiamo sradicare, quella della mafiosita’, dei patti sottobanco, dall’intrallazzo in guanti bianchi, dalla disonestà condita da buone maniere».

@DeCanistra

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