Obama, Renzi e la guerra degli ignoranti
In sé, le guerre hanno sempre quel tanto che basta di follia per riuscire a dare la forza a un uomo di uccidere uno e più dei suoi simili. Nella fattispecie, le guerre religiose hanno storicamente poco da invidiare a quelle motivate da cause prettamente – per così dire – geopolitiche.
Quella che i sedicenti membri dello Stato Islamico, i miliziani dell’ISIS, stanno dimostrando, è una vera e propria sete di sangue nemico basata su una sistematica persecuzione della grande categoria dei diversi da sé stessi, in cui vengono raggruppate indistintamente minoranze religiose, etniche e chi più ne ha più ne metta.
Chi da tempo, anche distrattamente, segue gli eventi in Oriente, difficilmente sarà rimasto stupito dall’avanzata di questi terroristi. L’Iraq è stato più volte teatro di scontri che hanno visto coinvolti attivamente i cosiddetti “esportatori di democrazia” occidentali, vale a dire gli Stati Uniti con tutto il gregge a seguire. Più recentemente, è stata la Siria a essere un argomento “caldo”, con le dure polemiche a distanza tra Obama e al Assad, leader del regime siriano. Purtroppo, aiutandosi con un’analisi cronologica degli eventi, non era del tutto inimmaginabile la riproposizione di un fronte armato vicino a quello dell’Esercito Islamico che nel 2004 uccise Enzo Baldoni o, più remotamente, alle milizie di al Qaeda. Certo, va da sé, la constatazione è che chi dovrebbe – e avrebbe dovuto – garantire le libertà personali e l’evitare di nuove tensioni tra sciiti e sunniti ha miseramente fallito nel suo compito. Non per la prima volta, peraltro. Ma le soluzioni proposte potrebbero addirittura non essere tali e comportare un serio effetto boomerang.
Con ordine: per entrare attivamente in Iraq e Siria c’è l’ovvio bisogno che i governi locali siano d’accordo. Se dal primo sono arrivati segnali di distensione, la situazione si fa un po’ più ardua in Siria dove Assad, con più di un pizzico di ovvio e interessato mecenatismo, si è detto pronto a collaborare con USA e Gran Bretagna, chiedendo però di coordinare gli eventuali raid aerei. La risposta di Obama è stata un prevedibile forte due di picche: per il Presidente degli Stati Uniti sarebbe arduo motivare l’alleanza con chi, solo fino a pochi mesi prima, veniva indicato quale un pericolo mondiale. Il rischio è quello di attraversare una fase di stallo, nonostante lo stesso Obama abbia spinto sull’acceleratore sottolineando la possibilità di azioni militari qualora cittadini americani dovessero essere messi in pericolo (dimenticando forse, tra una partita a golf e un’altra, la nazionalità del compianto giornalista James Foley).
E l’Europa? Dorme, più o meno come sempre quando si parla di politica estera e libertà civili, dimostrando per l’ennesima volta quanto barbara e immeritata sia stata l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace solo due anni fa, quando successe “degnamente”, con tre anni di ritardo, proprio a Barack Obama. Poche sono state le voci levatesi dal Continente, distratto da mini-crisi politiche nei paesi più importanti e da maramaldeggianti fiorentini che fingono di dettar legge a Bruxelles. La voce più critica si è levata dallo Stato più pacifista e meno interventista degli ultimi anni, la Germania. E per questo fa più rumore, se è Gerd Mueller, Ministro per la Cooperazione e lo Sviluppo del Paese più forte del Continente a denunciare quegli stati che con una mano stringono affari con l’Occidente e con l’altra riforniscono chi taglia la gola agli occidentali, puntando netto il dito contro il Qatar. Basterebbe quindi evitare che chi rifornisca d’armi e denari questi miliziani lo rifaccia puntualmente, periodicamente, magari con un embargo economico o con serie misure diplomatiche. Ma si sa, il Qatar – che nel frattempo ha risposto duramente costringendo il Governo tedesco a “prendere le distanze” dal proprio Ministro – non è lo Stato di Putin e il petrolio è più arduo da trovare del gas, e quindi va bene il guazzabuglio di omini mascherati in scimitarra e sciabola, di tanto in tanto.
E l’Italia? Nello specifico ha scelto – anzi, abbiamo scelto, pur non avendo scelto – di inviare armi proprie ai peshmerga, combattenti “pronti a dare anche la vita” e che – si presume – non sono allineati né con Assad e né ancor meno con l’ISIS. Ovviamente, nell’era renziana non è dato sapere cosa verrà mandato, come, da chi e soprattutto a chi. Ancor meno a chi rimarranno queste armi, e cosa ne verrà fatto. Mai sia che il popolo sia vagamente informato, chiamato in causa, preso in considerazione (preso sì, ma solo per il culo). Quasi attrae simpatia che per l’ennesima volta verranno scelte soluzioni un po’ a caso, un po’ tanto per, da chi – per esempio – non sa neanche dove sia il Kurdistan (vedi inchiesta del Fatto Quotidiano del 22 agosto) eppure ha votato per inviar lì un po’ di rivoltelle. A casaccio, così. Ed è notevole come, per combattere un esercito di tagliatori di gole che si sta rimpinzando di europei e americani, Europa e America decidano di mandare armi in Siria e Iraq per far uccidere europei e americani a siriani e iracheni, pochi anni dopo aver ucciso siriani e iracheni nei propri raid aerei e nelle “missioni di pace” varie. Sembra quasi un gioco di parole, eppure è solo un gioco di armi. E fa niente se la nostra Costituzione recita che l’Italia ripudia la guerra come strumento risolutivo. Anzi, menomale che la stiamo per cambiare, questa vecchia e logora Costituzione.