Recensione di una recessione
“Coraggio” è il mantra di Matteo Renzi in piena recessione. L’ennesima overture prossemica del Premier che oltre alle qualità imbonitrici, alle slide, agli slogan di cui si fa maestro è costretto a fare letteralmente i conti con sé stesso.
La politica del Governo si rivela gravemente insufficiente in tempi di crisi, deficitaria è il termine sicuramente più appropriato, dato che di deficit si sta parlando. Così mentre il “rottamatore” rottama l’economia, gli italiani ancora si stanno chiedendo che tipo di ricette il Sindaco d’Italia ha intenzione di mettere in campo per uscire dallo stallo. Il Paese, infatti, torna in recessione tecnica: -0,2 % del Pil contro lo 0,1% stimato dall’Istat. Una manganellata che colpisce in modo trasversale ogni settore: dall’industria, all’agricoltura sino alle esportazioni e il made in italy. Previsioni non trascurabili che pare abbiano messo in crisi persino il rapporto Renzi-Cottarelli in vista della spending review, nonché, della tanto agognata legge di stabilità. In soldoni la ripresa non c’è stata e nel 2015 non ci sarà mentre, com’era prevedibile, gli 80 euro si sono rivelati quello che sono sempre stati: una regalia totalmente ininfluente sui consumi, prevedibile ed evidente agli occhi di tutti. Mesi e mesi di speciali, talk-show e dibattiti per sviscerare, pubblicizzare le grazie di un tesoretto in busta paga che, aldilà del far quadrare qualche bolletta, ha inciso ben poco sul reddito degli italiani. Come di consueto, però, il Governo delocalizza il dolore, fa leva sul trend europeo e soprattutto sul calo tedesco per rassicurare i poveri cittadini in costume che da settembre avranno ben poco da festeggiare. Dal prossimo anno, infatti, ci attenderà inevitabilmente una manovra da 20 miliardi di euro in una combinazioni di tagli e tasse laddove da Bruxelles ( della serie: “batteremo i pugni sul tavolo”) ci fanno sapere che la richiesta di Roma, di procrastinare al 2016 il pareggio strutturale di bilancio, viene rispedita al mittente. Senza contare che lo spettro del fiscal compact incombe: la regola che impone di tagliare di un ventesimo l’eccesso del 60% del prodotto entrerà in vigore l’anno prossimo. L’Italia dovrà perciò garantire un abbattimento del debito, se i vincoli rimarrano questi, di almeno 10 miliardi. Un quadro ben poco rassicurante, e dal Wall Street Journal al Financial Times le critiche al Premier impazzano e le risposte tardano ad arrivare. Così, mentre al vocabolario economico dei cittadini si aggiungono ulteriori voci minatorie, l’estate 2014 danza a suon di deflazione: il tormentone finanziario lanciato sotto i raggi del sole che indica come il calo dei prezzi di beni e servizi si stia attivando. Un fenomeno che smorza le prospettive di ricrescita, con la minaccia di innescare un meccanismo a ritroso che progressivamente, bloccando i profitti alle imprese, porterà all’ aumentare della disoccupazione ergo alla decrescita dei consumi. Il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, tuttavia, rassicura: “In due anni vedremo l’effetto delle riforme”, il punto è: quali riforme? Il Governo, di fatto, sembra procedere in continuità con i predecessori dove la strada da battere rimane sempre quella del “rammendo”, della politica del “taglia e cuci” per rattoppare senza rivoluzionare. D’altronde, senza scadere nella più spiccia dietrologia, vale la pena scattare una panoramica dei rapporti stilati dalle principali banche mondiali, proprio relativamente la situazione dell’Eurozona nonchè la spinosa “questione italiana“. JP Morgan, colosso bancario statunitense, valuta le costituzioni europee come un ostacolo all’integrazione sovranazionale, fortemente socialdemocratiche, esse tutelerebbero eccessivamente il lavoro ostacolando la deflazione salariale. Deutesche Bank propone, d’altro canto, un via libera alle privatizzazioni, sostenendo: “Potenziali entrate derivanti dalla vendita di partecipazioni in grandi aziende” con particolare attenzione verso edifici pubblici, terreni e fabbricati. La banca svizzera Ubs, dalla sua, auspica la chiusura dell‘Ilva: “Sarà una cattiva notizia per i dipendenti ma a beneficiarne saranno tutti gli altri” dice, obiettivo: eliminare il più grande stabilimento siderurgico d’Europa a vantaggio della siderurgia tedesca, scandinava e austriaca.
Fa sorridere come proprio in queste ultime ore Jp Morgan&co avrebbero di che ben sperare: infatti, se da un lato le riforme costituzionali sono in cantiere dall’altro lo Statuto dei lavoratori con annesso art. 18 si prepara ad un ulteriore modifica passato dall’essere un diritto, una conquista, all’essere a detta del Premier “un totem” quasi un capriccio. Eppure di cose da fare ce ne sarebbero, copiose riserve di denaro a cui attingere, prima di passare al sold out, sono a portata di mano e si chiamano: piani di rientro contro l’evasione fiscale, abbattimento del nero, leggi anti-corruzione. Riforme capaci di andare a pescar soldi proprio dove sono sempre stati: in quel capitale sommerso che secondo l‘Esa apporterebbe un aumento del Pil di 1-2 punti percentuali.
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La svolta buona l’avevano chiamata ma, ad oggi, il rischio è che se si continua di questo passo ad essere privatizzati saranno i diritti: la sanità, la scuola, il futuro. Se di recessione si parlerà, questa non si limiterà a farci i conti in tasca, ma coinvolgerà un riflusso culturale, una stagnazione di pensiero verso la diseguaglianza sociale. Perciò, italiani: “Coraggio! Coraggio! Coraggio!” un’espressione che, date le circostanze, forse più che l’incipit incitativo di un discorso illuminante, assume i tratti compassionevoli di una pacca sulla spalla, di un incoraggiamento flebile e sconsolato sussurato in conforto allo spasimo di un paese che deve trovare il modo di rigenerarsi.
Fonte: IlFattoQuotidiano, Ansa, IlSole24Ore