La crisi in Italia? Non finirà mai
Sono passati quasi sei anni da quel 15 settembre 2008, giorno del fatidico fallimento di Lehman Brothers, vera molla scatenante della crisi economica mondiale. Da allora il tempo sembra essersi fermato e le stagioni, nella loro alternanza, non hanno mai cessato di passarsi vicendevolmente l’ardente fiaccola con incisa la parola “crisi”.
Eppure, di tempo ne è passato: più di un lustro, per l’esattezza. Viene da chiedersi: finirà mai, la “crisi”?
La risposta, secondo noi, è negativa. Almeno, per alcuni paesi che hanno vissuto anni e decenni di politiche poco volte ai bisogni del cittadino e dell’economia reale, spesso e volentieri mal gestita soprattutto nel momento fondamentale della transizione verso la moneta unica. Viene da pensare, per dire, ai conti falsi della Grecia, ai prestiti a lungo termine in Spagna e allo spread alle stelle in Italia, tanto per citarne tre. Nel mentre, però, altre nazioni sono cresciute in maniera esponenziale offrendo lavoro, servizi e prospettive a chi credeva di vivere in oasi sicure e si è spesso ritrovato, suo malgrado, senza un futuro certo.
Due situazioni sono significative, soprattutto perché trattasi di nazioni che hanno mantenuto la propria sovranità economica. La prima è quella relativa al “miracolo” della Polonia: la previsione di crescita per il 2014 è del +2,5% (per l’Italia l’FMI prevede un risicato +0,3%, ndr) e il paese, relativamente “fresco” di fine dittatura comunista, ha lasciato terreno fertile per i fondi degli investitori stranieri, necessari per le costruzioni di quelle infrastrutture ancora largamente mancanti.
E che dire dell’Ungheria? Quest’anno, fa realizzare il ritmo più elevato di crescita dal 2007, con addirittura il +3,4% di incremento della crescita rispetto allo scorso anno, merito anche di alcune – contestate – riforme attuate dal Premier Viktor Orban, quali per esempio la tassa sulle banche, mantenuta per assecondare quella dicotomia di risanamento del bilancio e di assecondazione dei crescenti animi populisti a Budapest. Ma anche all’interno dell’Eurozona c’è chi promette bene. La Lettonia è ancora in testa alle nazioni con la maggior crescita europea, secondo il Fmi, “nonostante” l’ingresso, da gennaio, nella moneta unica: le stime parlano di un +3,8% e addirittura +4,4% per il 2015. A seguire l’Estonia, per la quale è previsto “solo” il +2,4%.
Come si suol dire – e il concetto sembra render bene anche quando si parla di economia – la ruota gira. Chi per molti anni ha beneficiato di uno status economico superiore alla media, rischia di soffrire per anni le pene di chi, come su una bilancia, sta invece risalendo dal fondo, prepotentemente, pronto a invertire il gioco delle parti. Non è un caso che paesi che hanno realmente attuato riforme economiche rivoluzionarie abbiano invertito totalmente la rotta, vedasi il caso eclatante dei BRICS (nonostante andrebbero trattati appositamente i fattori di grande disuguaglianza sociale, soprattutto nelle situazioni di India e Cina).
Il tutto, mentre in Italia non troppi mesi fa abbiamo visto un Governo esultare, a fine 2013, per una crescita dello 0%.Per quest’anno, invece, le stime sulla crescita continuano a calare. Troppi dati negativi e troppe riforme (economiche, sociali, civili) che non arrivano, tanto che persino Ferruccio De Bortoli, certamente non schierabile nella scarna flotta degli “antirenziani”, pare abbia previsto una manovra autunnale lacrime e sangue da 20 miliardi con la Troika in cabina di regia. Parole non smentite, speriamo smentibili, all’interno di uno scenario che sembra non essere più quello di una crisi temporanea ma, si perdoni il gioco di parole, di una normalizzazione dello stato di crisi.
Forse, aggiungeremmo, c’è qualcosa di primario rispetto al Senato delle Regioni. Forse. Renzi, se ci sei batti un colpo.