Senato tra pellegrinaggi e tagliole
Se Edgar Allan Poe dovesse descrivere lo scenario che si è palesato nelle ultime ore in Senato, probabilmente, lo riterrebbe troppo agghiacciante per un suo racconto. Maggioranza ed opposizioni si scontrano a colpi d’ostruzionismo e tagliola. Un conflitto istituzionale che racconta una guerra fredda fatta di posizioni inconciliabili ed incomunicabilità. Casus Belli: la tanto agognata riforma del Senato a firma Maria Elena Boschi che sostituisce l’emiciclo di Palazzo Madama trasformandolo in una Camera delle Autonomie di seconda elezione.
Ed è proprio attorno al tema dell’elezione diretta che si svincola il consenso delle principali opposizioni: Sel, M5S e Lega presentano oltre 7mila emendamenti ( di cui 6mila a firma Sinistra Ecologia e Libertà) volti ad insabbiare la discussione e procrastinarne i tempi. Ma si sa Renzi ideologo della fast- democracy, Premier del “bando alle ciance, tempi brevi e diritti anche” non prevede certo riflessioni né tantomeno differimenti. E’ il via ad un pantano che rasenta il tragicomico. Il conflitto si apre mercoledì 23 luglio, quando Il Presidente del Senato Pietro Grasso perde il controllo della situazione e sale al Quirinale: le opposizioni chiedono il voto segreto su 900 emendamenti e l’aula implode in una serie di contestazioni. PD e Forza Italia si ribellano “all’urna celata” che si sa,soprattutto nel Partito Democratico (vedi elezione del PdR), è terreno fertile ai franchi tiratori. Il vis-à-vi Grasso-Napolitano porta, così, con sè il monito di monitoraggio del Presidente della Repubblica. Fonti del Quirinale divulgano la posizione del Capo dello Stato: “Il presidente della Repubblica ha insistito con il presidente del Senato sul grave danno che recherebbe al prestigio e alla credibilità dell’istituzione parlamentare, il prodursi di una paralisi decisionale su un processo di riforma essenziale, ai fini di una rinnovata funzionalità del sistema istituzionale.” Ma, monito conciliativo e pro governativo o no, l’escalation delle frange anti-riforma trova in parte accoglimento: il voto segreto sarà ammesso in modo circostanziato, solo relativamente a quegli emendamenti che all’art. 1 e 18 concernono le minoranze linguistiche. Ed è Sparta. Impazzano le dichiarazioni di protesta della maggioranza. Da Palazzo Chigi il Premier è sprezzante: “Spot migliore non potevano farcelo” e ancora: “Non ci sarà nessun ostacolo in grado di fermarci. Potranno rallentare […] potranno fare qualche scherzetto sul voto segreto ma alla fine di questo percorso l’Italia sarà messa in condizione di tornare a correre.” Si arriva, tramortiti, a giovedì 24 luglio dove l’aula però, darà il meglio di sé. Il clima è pre-bellico, i lavori vengono sospesi per permettere ai capigruppo di riunirsi e trovare un punto d’incontro. E’ il muro contro muro che corre sui binari del classico ricatto maggioritario: ritiro degli emendamenti o tagliola ( d’altra parte l’alibi della “misura in extremis” ha sempre il suo ascendente). E la tagliola diventa realtà. La maggioranza contingenta i tempi, limita la discussione in aula ed approva un calendario dei lavori serrato. D’ora in poi. saranno concesse solo un tot di ore di parola ad ogni gruppo ed al termine si procederà alla votazione, con scadenza definitiva fissata all’8 agosto. Tempi certi che, se prima erano una responsabilità governativa, ora regolano e disciplinano la libera espressione del dissenso. La ribellione delle opposizioni supera qualsiasi sceneggiatura a firma Alfred Hitchcock: Petrocelli (M5S) parla di “mercato delle numerosità”. La Lega per bocca di Calderoli, afferma: “Si è voluto dare uno schiaffo al Parlamento”. Luigi Zanda (PD) difende la posizione della maggioranza ” Non avremmo voluto arrivare a tanto […] i 6mila emendamenti di Sel non lo permettono”. In questo botta e risposta acclarato e accalorato mancava solo un esodo, una secessione istituzionale, un pellegrinaggio politico. E non è una metafora. Le opposizioni migreranno a piedi, intorno alle 19, verso la sede della Presidenza della Repubblica dove verranno poi accolte dal segretario generale Marra al quale strapperanno la promessa di “riferire delle preoccupazioni delle opposizioni al Presidente Giorgio Napolitano.”
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Un macabro e agghiacciante racconto del terrore che continua a paralizzare i cittadini. L’idea di poter revisionare la Carta Costituzionale prescindendo completamente dalla discussione con le altre forze politiche, di portare avanti un progetto così ambizioso senza passare da una legittimazione popolare. Inculcare continuamente negli italiani il pensiero che un voto europeo possa legittimare i rimpasti governativi degli ultimi tre anni. L’offesa di eliminare un ramo del Parlamento, spossessando di fatto l’elettore del potere di scegliere i propri rappresentanti consapevolmente. Scardinare il principio di separazione dei poteri, aumentare le firme necessarie a referendum e leggi di iniziativa popolare e sostenere una legge elettorale senza alcuna preferenza è uno stupro alla partecipazione diretta ed a quella Carta che ispirò e ispira ancora gli italiani. Quella Carta che fu di De Gasperi come Togliatti, Calamandrei come Einaudi e che oggi è alla mercè di una classe dirigente che pretende di ristrutturare il Faro senza conoscere la rotta.
@FedericaGubinel
Fonti: ANSA, IlFattoQuotidiano, La Repubblica