LO STATUS DI LAVORATORE NELL’UNIONE EUROPEA

Con la sentenza n. C-507/12 del 19 giugno 2014 la Corte di Giustizia Europea ha sancito il principio secondo cui una donna che smetta di lavorare o di cercare un impiego a causa delle limitazioni fisiche collegate alle ultime fasi della maternità ed al periodo successivo al parto, conserva la qualità di «lavoratore».Tale qualità sarà preservata, però, solo ove riprenda il suo lavoro o trovi un altro impiego entro un arco temporale ragionevole dopo la nascita del figlio.

Nel Regno Unito, esiste già una indennità integrativa del reddito consistente in una prestazione che viene concessa, ove ne sussistano i requisiti reddituali, a talune categorie di persone.
Le donne incinte o le puerpere, in particolare, possono richiedere tale prestazione nel periodo intorno al parto.
Tuttavia, coloro che non risiedono abitualmente nel Regno Unito, non hanno diritto a tale prestazione tranne nel caso in cui non abbiano acquisito lo status di lavoratore ai sensi della direttiva sul diritto di libera circolazione e di soggiorno dei cittadini dell’Unione Europea.
Il caso ha riguardato una lavoratrice di nazionalità francese, lavoratrice nel Regno Unito, insegnante ausiliaria che nel 2008 è entrata in stato di gravidanza.
Al sesto mese la lavoratrice ha abbandonato tale impiego in quanto il lavoro consistente nell’occuparsi di bambini piccoli era diventato troppo faticoso.

 

Chiedeva allora all’amministrazione il pagamento dell’indennità integrativa del reddito che, però, le veniva respinta, poiché aveva perso la qualità di lavoratore.
La Corte di Giustizia richiama le disposizioni della direttiva 2004/38/CE (art. 7) la quale testualmente stabilisce che “Ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione: di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante. Ai sensi del paragrafo 1, lettera a), il cittadino dell’Unione che abbia cessato di essere un lavoratore subordinato o autonomo conserva la qualità di lavoratore subordinato o autonomo nei seguenti casi: l’interessato è temporaneamente inabile al lavoro a seguito di una malattia o di un infortunio; l’interessato, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo aver esercitato un’attività per oltre un anno, si è registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro; l’interessato, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore ad un anno o venutosi a trovare in tale stato durante i primi dodici mesi, si è registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro. In tal caso, l’interessato conserva la qualità di lavoratore subordinato per un periodo che non può essere inferiore a sei mesi; l’interessato segue un corso di formazione professionale. Salvo il caso di disoccupazione involontaria, la conservazione della qualità di lavoratore subordinato presuppone che esista un collegamento tra l’attività professionale precedentemente svolta e il corso di formazione seguito”.

La Corte Europea precisa che l’articolo in questione non opera un’elencazione completa ed esaustiva delle circostanze nelle quali un lavoratore può continuare a beneficiare dello status di lavoratore.
Secondo giurisprudenza costante la qualifica di lavoratore non dipende necessariamente dall’esistenza o dalla prosecuzione effettiva di un rapporto di lavoro.
È in tale prospettiva che la Corte ha affermato che ogni cittadino di uno Stato membro (ed indipendentemente dal suo luogo di residenza e dalla sua cittadinanza) che abbia esercitato un’attività lavorativa in uno Stato membro diverso da quello di residenza, rientra nella sfera di applicazione dell’articolo 45 TFUE.
La circostanza che lo stato di gravidanza ed il periodo immediatamente successivo al parto inducano una donna a sospendere l’attività lavorativa durante il periodo necessario alla sua ripresa psico-fisica, in linea di principio non è un valido motivo volto a farle perdere lo status di “lavoratore” come ut supra descritto.
La Corte precisa che al fine di determinare “se il periodo intercorso tra il parto e la ripresa del lavoro possa essere considerato ragionevole, è compito del giudice nazionale tenere conto di tutte le circostanze specifiche del caso di specie, nonché delle disposizioni nazionali che disciplinano la durata del congedo di maternità”.
Pertanto, conclude la Sentenza: “l’articolo 45 TFUE deve essere interpretato nel senso che una donna, che smetta di lavorare o di cercare un impiego a causa delle limitazioni fisiche collegate alle ultime fasi della gravidanza e al periodo successivo al parto, conserva la qualità di «lavoratore» ai sensi di tale articolo, purché essa riprenda il suo lavoro o trovi un altro impiego entro un ragionevole periodo di tempo dopo la nascita di suo figlio”.

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