India: dote e violenze, lo Stato tutela i mariti

Anche se bandita per legge dal 1961, la richiesta della dote alle famiglie delle spose indiane sembra destinata a non scomparire. Dal 1984, una legge punisce – o dovrebbe punire – la dowry violence, i maltrattamenti di mariti cui la dote non sembra sufficiente e vogliono di più, sempre di più, dai parenti della moglie. Ora, però, una pronuncia della Corte Suprema potrebbe indebolire ancora di più questo fragile strumento di difesa.

 

La pratica della dote in India affonda le radici nella tradizione induista del Manusmriti, un testo del 1500 a.C. Col tempo, il dono di gioelli, monete e proprietà da parte della famiglia della sposa al futuro marito era diventato un modo per garantire alla donna un minimo d’indipendenza economica. Invece di evolvere in un positivo strumento di emancipazione – quantomeno finanziaria –  però, la dote è presto diventata una mera transazione con cui la famiglia poteva alzare le quotazioni della promessa sposa mentre il pretendente poteva mettersi in tasca denaro sonante e preziosi. E i soldi, si sa, non sono mai troppi. Così, i mariti hanno avuto buon gioco a far lievitare la dote, usando le neosposine come arme di ricatto su famiglie costrette a pagare per impedire le violenze, o tentando di liberarsi della moglie per poter impalmare donne ben più facoltose. All’inizio degli anni ’60, lo Stato Indiano ha varato il Dowry Proibition Act, una legge che vieta l’estorsione coniugale. La resistenza della tradizione, però, accompagnata da una diffusa mancanza di volontà dei volontari pubblici e delle forze di polizia di far applicare la norma, ha reso necessaria un nuovo provvedimento, che contrastasse le violenze. Nel 1983, quindi, il paese ha varato una nuova legge “anti dote” – la 498-A, o dowry harrassment – che prevede l’arresto immediato, senza mandato del giudice, alla denuncia di maltrattamenti per estorcere denaro alla famiglia del coniuge. Il tessuto culturale, però, non è cambiato, né la diffusa impunità di cui continuano a godere i mariti. E le cose potrebbero peggiorare. Poche settimane fa la Corte Suprema indiana si è espressa contro l’arresto immediato, a suo dire «un’arma nelle mani di mogli scontente». {ads1} Come riporta China Files, per i giudici «senza un’adeguata misura di garantismo nei confronti del presunto colpevole, le denunce infondate hanno iniziato a diffondersi a livello epidemico nel paese, rovinando la vita di mariti – e rispettive famiglie – in realtà totalmente innocenti. Ora, aggiungono, per autorizzare l’arresto gli organi di polizia avranno l’obbligo di richiedere un mandato al giudice, che potrà autorizzarlo solo sulla base di prove evidenti. Per mostrare come la legge nata per proteggere le donne dalla violenza dei compagni sia diventata uno strumento punitivo utilizzato da mogli bisbetiche e insoddisfatte, la Corte ha evidenziato come nel 2013, a fronte di oltre 170mila denunce per violenza legata alla dote, il tasso di colpevolezza sia stato solo del 15%, un dato che mostrerebbe come almeno nove indagati su dieci fossero innocenti e abbiano subito un ingiusto processo. Quello che la Corte omette, però, è che i processi si protraggono per anni e che molte delle coppie in causa preferiscono abbandonare le aule del tribunale per cercare un accordo privato. Molti “innocenti”, quindi, innocenti non lo sono affatto. Lo scorso anno le morti per dote sono state oltre ottomila e i casi denunciati solo la punta dell’iceberg: la violenza domestica continua ad essere considerata un affare privato, da non denunciarsi in pubblico in quanto, paradossalmente, discredita e arreca disonore alla vittima e alla sua famiglia.

 

L’associazione All India Democratic Women Association (Aidwa), in un comunicato, ha criticato i giudici per aver esteso a tutti i casi anti dote una norma cautelare tecnicamente non necessaria, mostrando come gli arresti ingiustificati non siano un problema che richiede una correzione normativa – la legge prevede già che prima dell’arresto la polizia debba registrare le ragioni del fermo – ma malapratica della polizia. La nuova legislazione introdotta dai giudici, continuano le associazioni per la difesa delle donne, avrà effetti nefasti. Il nuovo iter legale, infatti, non solo ridurrà significativamente il numero delle denunce, perché le donne saranno meno tutelate e quindi meno spinte a denunciare un marito violento, ma esporrà chi avrà ancora il coraggio di parlare alla ritorsioni del marito accusato, che rimarrebbe libero di rifarsi sulla vittima mentre la burocrazia fa il suo corso, trasformando una legge nata per proteggere le donne in un pericolo potenziale per la sua incolumità

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@costipiccola

 

 

 

 

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