Bolivia: e Ciàula non scoprì la Luna
Se ne accorse solo quando fu agli ultimi scalini […] la chiarìa cresceva, cresceva sempre più, come se il sole, che egli aveva pur visto tramontare, fosse rispuntato. Possibile? Restò – appena sbucato all’aperto – sbalordito. Il carico gli cadde dalle spalle. Sollevò un poco le braccia; aprì le mani nere in quella chiarità d’argento. Grande, placida, come in un fresco, luminoso oceano di silenzio gli stava in faccia la Luna.
Sí, egli sapeva, sapeva che cos’era; ma come tante cose si sanno, a cui non si è data mai importanza. E che poteva importare a Ciàula, che in cielo ci fosse la Luna?*1
Da quando Pirandello raccontava la storia di Ciàula sono passati molti anni e cambiate molte cose. In Italia i bambini, se non altro i bambini italiani, almeno in teoria non lavorano più. Ma noi ora ci spostiamo dall’altra parte del mondo, in Bolivia, dove invece i bambini sono arrivati a protestare proprio per poter lavorare.
Accadeva a dicembre dello scorso anno, quando centinaia di bambini a La Paz scesero in piazza per manifestare contro il nuovo Código de la Niñez y Adolescencia, una legge che, tra i vari provvedimenti in favore della lotta al lavoro minorile, fissava l’età minima per poter lavorare a 14 anni. Fu in quella giornata, anche a causa di una poco materna attenzione della polizia che ha caricato i giovani manifestanti, che il grido dei bambini lavoratori giunse a volume massimo alle orecchie dei politici boliviani, Evo Morales in testa. {ads1}
Perché non era mica uno scherzo, secondo la Defensoria del Pueblo della Bolivia, lavorano circa 850.000 bambini dall’età compresa tra i 5 e i 17 anni, pari al 28% della popolazione e l’87% di questi svolgono lavori pericolosi per l’integrità fisica e mentale. Per questo motivo da qualche anno migliaia di bambini si sono uniti nella Unión de niños y adolescentes trabajadores de Bolivia (UNATsBO), un vero e proprio sindacato dei minori teso a tutelare i diritti dei piccoli lavoratori e impedirne lo sfruttamento. Ed è stata proprio l’UNATsBO a guidare la protesta contro il nuovo codice del governo chiedendo innanzitutto di abbassare l’età minima per poter cominciare, onestamente, a lavorare.
E così, dopo mesi di vere e proprie trattative tra governo e sindacato, il 26 giugno il parlamento boliviano ha approvato una riforma del Codice dell’infanzia e dell’adolescenza che riduce a 12 anni, e in alcuni casi specifici a 10, l’età minima per poter cominciare a lavorare. Il sindacato dei bambini la considera un successo, in quanto la nuova riforma prevede tutele, come la giornata lavorativa di sei ore per consentire lo studio, che altrimenti sarebbero state negate.
Una vicenda che da noi, di primo acchito, ha creato non pochi malumori e che ha avuto come ostacolo, a parte la costituzione boliviana, proprio quei trattati internazionali che tutelano i più piccoli in tutto il mondo. Tuttavia al di la del perbenismo e delle convenzioni, visti anche i numeri di casa nostra dove il lavoro minorile non è per niente debellato*2, bisogna cercare di fare uno sforzo maggiore e comprendere il contesto in cui sono nati il sindacato e questa nuova riforma: una Bolivia segnata dalla povertà dove le famiglie stentano a sopravvivere e lo sfruttamento, illegale e fuori controllo, dei minori non è una novità.
Perciò forse la lotta dell’UNATsBO non è un modo di stringersi il cappio al collo, ma al contrario un tentativo di tirarsi fuori dal pantano. Bastino le parole del quindicenne delegato nazionale dell’UNATsBO Rodrigo Medrano, a togliere ogni dubbio: “Perché ci sono bambini e adolescenti che lavorano? Perché sono poveri e vivono per strada”. Dunque prima di restare scioccati proviamo a rifletterci meglio, che forse Ciàula in Bolivia non sta solo scendendo in miniera, ma lottando per poter vedere la Luna.
Approfondimenti e note.
*1. Il testo è tratto da Luigi Pirandello, Ciàula scopre la Luna, Fabbri Editori, 2004.
*2. Sul lavoro minorile in Italia si rimanda ai seguenti articoli su La Repubblica e Save the Children
Per quanto riguarda i dati e le indagini dell’UNICEF in e della Defensoria del Pueblo della Bolivia si rimanda qui.