Bombe e un morto oltre il confine russo: Putin reagisce?
Dopo l’assalto all’ambasciata russa a Kiev del 14 Giugno e i ripetuti sconfinamenti di truppe in territorio russo denunciati dal Cremlino nelle scorse settimane, sabato scorso l’esercito ucraino, non è chiaro quanto consapevolmente, è passato dalle provocazioni agli atti di guerra, rischiando di provocare un’escalation che potrebbe scatenarsi nei prossimi giorni.
Un colpo sparato dall’artiglieria ucraina, schierata lungo il confine russo come fronte est dell’accerchiamento delle regioni del Donbass, ha colpito un’abitazione civile nei pressi di Rostov, in pieno territorio russo, provocando un morto e due feriti tra i membri di una stessa famiglia, questo il video. Mentre secondo prassi ormai consolidata i media occidentali non davano praticamente notizia dell’accaduto, l’uccisione ha scatenato dure reazioni in Russia a cominciare dal vice Ministro degli Esteri russo Grigory Karasin che ha minacciato conseguenze irreversibili. I primi rumors da Mosca (poi smentiti) parlavano della possibilità di bombardamenti mirati come rappresaglia verso l’esercito ucraino, cioè esattamente il tipo di risposta che Kiev e i suoi alleati sembrano voler provocare da settimane e che , per stessa ammissione del leader della milizia filorussa Strelkov, Putin voleva scongiurare ad ogni costo, compreso quello di sentirsi accusare di colpevole immobilismo come di fatto sta accadendo nell’ucraina russofona e nelle aree più interventiste dell’opinione pubblica russa. Nei prossimi giorni lo Zar dovrà decidere che cambiare rotta assecondando quello che presumibilmente vogliono i suoi nemici o tenere il profilo attuale, ben sapendo che eventuali altri atti di guerra diretta non potranno essere ignorati ad oltranza.
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Nel frattempo dopo la ritirata delle milizie filorusse da Slaviansk e dai centri minori di Druzhkivka, Artemivsk e Kramatorsk i combattimenti si sono conseguentemente concentrati nei due capoluoghi Doenetsk e Lughansk. Gli ultimi bollettini parlano di diverse decine di morti al giorno: 30 soldati ucraini uccisi da un razzo pochi giorni fa e altrettanti miliziani uccisi ieri dai colpi di artiglieria, nuovi abbattimenti di aerei di Kiev da parte dei resistenti della Novorossia e asprissimi combattimenti per il controllo degli aereoporti delle due città.
A causa di tali scontri le condizioni della popolazione civile del Donbass appaiono sempre più critiche, mentre in rete le foto dei corpi di civili dilaniati dai colpi di artiglieria testimoniano una realtà drammatica e inequivocabile, sostanzialmente taciuta dai canali mainstream. In questo contesto un rapporto di pochi giorni fa di Amnesty International si concentrava invece sui rapimenti e le torture di funzionari, poliziotti e giornalisti avvenuti in Ucraina negli ultimi mesi. Il rapporto, che per la verità da l’impressione di essersi basato prevalentemente su fonti vicine a Kiev (vogliamo sperare a causa dell’inaccessibilità dei territori aggrediti), sottolineava come il fenomeno fosse presente da entrambe le parti, ma più frequente e cruento ad Est per mano dei miliziani. A rafforzare il quadro generale presentato da Amnesty e contemporaneamente a smentirne l’attribuzione unilaterale ai miliziani dell’Est, giunge oggi la notizia del ritrovamento del cadavere torturato del giornalista filorusso Serghei Dolgov vicino Dnipopetrovsk, nell’Ucraina centrale, molto lontano da Mariupol dove operava fino al 18 Giugno quando venne rapito dalle forze filo-kiev e si erano perse le sue tracce. Dolgov indagava sulle violenze e le torture perpetrate giornalemnte dagli uomini fedeli a Kiev, un’indagine per la quale ha pagato il prezzo più alto ad opera proprio di quei macellai che col suo lavoro intendeva smascherare.