Civil partnership vs adozioni omosessuali
28 giugno 2014, l’Onda pride investe tutta la penisola a macchia d’olio. L’ orgoglio omosessuale travolge tutte le principali città italiane dalla Sardegna a Milano sino alla Puglia intera, Catania, Venezia, Torino, Perugia, Palermo, Napoli, Bologna e Siracusa. Uno Tsunami con una foce ben precisa: la nuova regolazione delle civil partnership o unioni civili per dirla nella lingua del “sì”.
Se ne è sentito parlare a lungo in questi anni, prima PACS poi coppie di fatto, una serie di questioni teoretiche, di tesi sull’origine del mondo simili al Big Bang per spiegare questo “fenomeno geologico” che sono le coppie omosessuali. Dai fautori della visione patologica come “morbo omosessuale” agli astrusi sostenitori della teoria perversionistica, questi anni di dibattito all’italiana come al solito non hanno portato a nulla (Ahi voglia a prendersela con il Vaticano!). Pare, tuttavia, che armato d’arco e frecce si sia palesato sulla scena un nuovo eroe nazionale che abbia deciso di risolvere finalmente la situazione. Così, Matteo Renzi ne ha fatta un’altra delle sue, ha promesso per settembre le tanto agognate nozze gay. Nozze, però, che non saranno nozze, un colpo al cerchio ed uno alla botte: il premier ha dato una lettura più soft del problema riassumendolo in civil partnership. Alle coppie omosessuali un matrimonio di serie B, iscritto allo stato civile in un apposito registro “dedicato” ai “matrimoni” tra persone dello stesso sesso. Diritti e doveri coniugali saranno gli stessi: pensione di reversibilità in caso di morte del coniuge, assistenza ospedaliera e carceraria, possibilità di richiedere una casa popolare. Lo stop, com’era ovvio, arriva sulle adozioni che rimangono a monopolio eterosessuale con la possibilità, però, della stepchild adoption: adozione per il genitore non biologico così da garantire continuità relazionale nella vita del minore. Ecco il perché dell’Onda Pride, il “tour” di manifestazioni omosessuali che ha investito lo Stivale, riaccendendo il dibattito sui diritti e su quel fantomatico art. 3 della Costituzione che ci ha insegnato cosa significa eguaglianza: “I diritti non sono negoziabili e l’uguaglianza non conosce approssimazioni: o c’è o non c’è. Perciò il Partito Democratico smetta di flirtare col centrodestra alla ricerca di un consenso che mai otterrà e compatti le forze parlamentari sulla proposta dell’estensione del matrimonio civile, l’unica nella quale si realizza il principio di uguaglianza.” Queste le parole di Flavio Romani (Presidente di Arcigay), e come dargli torto?
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Se vi dev’essere, infatti, una parificazione non si capisce cosa osti a consentire anche l’adozione alle coppie omosessuali, posto che un controllo d’ idoneità della coppia vi sarebbe comunque. Cosa impedisce all’Italia di fare quel passo che già è stato fatto in altri Paesi europei? L’avanguardia di un Paese, dipende da quanto quel Paese è disposto ad emanciparsi. Sostenere che ad una educazione omosessuale corrisponda deviazione, ergere a modello la famiglia tradizionale delegittimerebbe anche lo stesso istituto del divorzio che permette, ad oggi, di smantellare quel nucleo. Concordando quindi sul fatto che, meglio una famiglia “atipica” che un clima di tensione nella famiglia tipica; che ciò che fa uomini sani sono genitori con principi sani è ora di parlare seriamente di diritti e di trattare questi come tali. Quella del Governo è una semplice scadenza: scadenza nei termini per spillare un punto all’agenda, scadenza nei fatti perché scade, liquida il diritto alla famiglia, alla felicità di una fetta di cittadini, ad una concessione che il mondo dei giusti elargisce a quello degli “invertiti”. Un modo negletto di affrontare il problema e negletto è, perché parte da punti di vista sbagliati. Cercare di definire un orientamento sessuale, cercarne le cause biologico-sociali, dare a tutto questo una valutazione psichiatrico-scientifica risulta tanto edotto quanto banale, come se ci si approcciasse ad un etero chiedendogli: “Perché ti piacciono le donne?” la risposta non c’è, e non c’è perché i sentimenti, il piacere e l’intimità sono realtà che esistono prima della legittimazione normativa e su di essa insistono. Sono realtà. Resta da capire: quando ci decideremo, anche noi, a fare i conti con questa realtà?
Fonte: Huffingtonpost.it; Gay.it
Twitter: @FedericaGubinel