Zerocalcare apre l’IFestival e presenta “Non dimenticare il mio nome”

Apre come meglio non poteva l’Indipendent Festival di Roma – al Parco Simon Bolivar di Talenti – intervistando uno dei “giovani” disegnatori più interessanti e seguiti del momento. Parla come disegna, Calcare. Con la testa bassa e “a strati”, commentando e sovrascrivendo le sue stesse parole.

Dritto, senza mezzi termini, timido e profondamente ironico allo stesso tempo. E, quasi come non si accorgesse dell’effetto finale, insieme comico e disarmante. 
Presenta Non dimenticare il mio nome (titolo provvisorio), il prossimo libro in uscita con Bao Publishing, di cui proietta anche qualche tavola in anteprima. “Ho scelto queste tavole cercando di evitare il rischio che contenessero qualche spoiler – racconta – ma per un caso fortuito la loro combinazione potrebbe far sembrare la storia una sorta di pippone emo“. Nasce da elementi autobiografici, come al solito, ma compie un passo ulteriore: attinge dalla storia familiare, una storia che intreccia più generazioni e mescola elementi reali e romanzati “un po’ per scelta, un po’ perché un G2 con mia madre ha stabilito la possibilità che raccontassi questa storia a patto che fosse mischiata con elementi fantastici e che mai rivelassi quali fossero i veri e quali i fantastici“. È stato un “parto molto lungo“, non a caso inframezzato dall’uscita di DODICI: “Sono abituato a raccontare il mio dolore, le mie vergogne. E so dosarmi; conosco il metro da utilizzare, so cosa raccontare e cosa no. Quando si tratta, invece, delle emozioni di qualcun altro, sono necessarie delle delicatezze che di solito non uso. L’ho fatto leggere a mia madre, visto che rischiavo di essere diseredato, e ora credo metta tutti d’accordo. Ci sono, in effetti, pezzi di famiglia forse non del tutto contenti, ma mia madre m’ha detto: ‘che cazzo te ne frega, tanto non ci parliamo co’ questi‘...”.

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Senza filtri, Calcare, approfitta per rassicurare il pubblico: no, la mamma non parteciperà alle presentazioni dei libri, ma (udite udite) svela l’identità dell'”Amico Supplì”. C’è uno sforzo di racconto e di scrittura della storia ulteriore, rispetto ai libri precedenti, e lo svela con un certo orgoglio: “Ho imparato da quello che ho fatto prima, ho preso le misure su ciò che so fare e cosa no: il risultato è qualcosa a cui tengo molto“. Poi, mitiga i toni entustiastici, tra timidezza, modestia e quella forma di scaramantico stupore che lo tiene sempre sul filo, sempre con la consapevolezza che – da un momento all’altro – potrebbe ritrovarsi “al crepuscolo”.
Svela cosa gli piaccia disegnare e cosa lo annoi, racconta i suoi punti di forza e calca la mano sulle sue pigrizie. Fondamentale, ammette, il ruolo dell’ansia, nel suo lavoro. Racconta i diversi registri, l’uso del comico che mai deve sconfinare nella caricatura, il piacere di inserire “un sacco di cose buffe e divertenti“, quando racconta il rapporto con la famiglia. E rende omaggio ai grandi, quelli leggendo i quali ha deciso di fare un salto di qualità, nel racconto: La mia vita disegnata male di Gipi e Lo scontro quotidiano di Manu Larcenet. Molto importante è stato anche il ritrovarsi a lavorare con Mastandrea. Dal film, questo primo film in cui Valerio esordisce alla regia portando sul grande schermo proprio un suo libro, è scaturito qualcosa di nuovo anche sugli altri fronti: “Io abito da solo e ho sempre lavorato a casa mia: andando a lavorare fuori, mi sono accorto che si lavora meglio interagendo con altri umani che ti rispondono e non solo con delle serie tv“.

Michele si offre alle domande del pubblico con allegra generosità – “non facciamo che ora non ci sono domande e poi a casa trovo 500 messaggi su Facebook, non riesco a rispondere e poi voi dovete insultarmi” – e il pubblico lo ripaga con ampia partecipazione e qualità.
Critica, o quantomeno descrive con dolorosa lucidità, la situazione editoriale attuale: “Spesso i fumetti sono un hobby per ricchi. Magari un esordiente lavora un anno su un libro e poi la casa editrice non gli dà nulla o gli dà 500 euro. Questo significa che non ci si professionalizza mai. O si è ricchi, appunto, oppure lo si fa nei ritagli di tempo. Ecco che quell’anno che servirebbe per fare un buon libro non c’è“. Si sente fortunato, Calcare. A fare quello che fa e ad aver intessuto rapporto con la Bao Publishing. Ovviamente ricordando sempre che potrebbe manifestarsi in qualsiasi momento “lo spettro del crepuscolo“.
Un’intervista completa, esaustiva; e divertente quasi quanto un libro di Zerocalcare. Ad aprire un festival indipendente e coraggioso. IFestival, infatti, rispetta e valorizza il verde del parco di un quartiere in cui l’offerta culturale mancava da troppi anni. E gioca con un linguaggio, quello della musica, della poesia e di una certa romanità, che racconta con un occhio particolare realtà interessanti e universali, senza chiudersi nella dimensione del quartiere ma, anzi, offrendo una visione laterale, mai banale. Una scommessa vincente da andare a confermare: dal 2 al 6 luglio a Via Monte Serrone (zona piazza Sempione).

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