PD, partito renziano. Fatevene una ragione

L’Assemblea Nazionale del PD si apre sulla scia di un 40,8% raggiunto alle europee ma, finita la festa, Matteo Renzi fa un incontro del terzo tipo: i dissidenti. Se lo è proiettato alle spalle quel 40,8%, sul palco a far da scenografia, della serie “ce l’ho più lungo del tuo”, anche se chiusa la corsa elettorale, si sa, le misure non contano.

 

Contano i fatti, contano i risultati e soprattutto contano i voti. Gli acciacchi del pluralismo democratico, bandiera del partito, che razzola voti un po’ a destra, un po’ a sinistra (quella vera), un po’ al centro, cominciano a farsi sentire e la varietà di merci va bene al mercato, ma non può reggere un Governo che al Senato ha ancora la bersaniana maggioranza che lo tiene sul filo del rasoio.
E qui comincia la diatriba che inverte le parti in commedia, quel voto in mano a Corrado Mineo Presidente della Commissione Affari Costituzionali che proprio non ci stava a votare la riforma del Senato della Boschi e quindi la sua espulsione o meglio, sostituzione dalla Commissione. 14 senatori si autosospendono in segno di protesta, di solidarietà con l’ex direttore di Rainews e quello che non si capisce é cosa ci sia da stupirsi. Pensare ad un Matteo Renzi padre misericordioso che dispensa 80 euro e ammende ai franchi tiratori è come dire a Letta che quello “stai sereno” era davvero un gesto d’affetto. Nel PD però si stupiscono. Si stupiscono di vedere un Segretario che forte del suo 40,8% , rivendichi la sua leadership e dica “Bhe adesso basta chiacchiere, si fa come dico io”. Forse pensavano di relegarlo a “portavoce” del partito, a velina democratica, che presi i voti con la sua faccia, il suo accento toscano e l’aria da piacione alla Arthur Fonzarelli le riforme se le sarebbero fatti da soli, senza la Boschi e senza il Presidente del Consiglio. Ma la Boschi c’è, Matteo c’è e non le manda a dire: “Non ho preso il 40% per lasciare il partito in mano a Mineo” risponde, e come dargli torto. Insomma finite le giravolte, dell'”Abbiamo vinto tutti” e “siamo tutti una grande famiglia”, finalmente l’italo elettore può mettersi l’anima in pace, il PD è renziano, è rottamatore e Matteo Renzi non porge l’altra guancia.

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Al di là, perciò, degli ammicchi a sinistra, dell’apertura alle feste dell’Unità, della candidatura Orfini a presidente del partito (il giovane turco vicino a Bersani), della questione morale in versione garantista rivisitata dal Sindaco d’Italia, la vera novità di questa assemblea è che finalmente il PD ha un colore, finalmente il Partito democratico ha avuto il coraggio di ammettere quello che il marchese del Grillo avrebbe riassunto così: “Io so’ io e voi non siete un…” che per dirla con le parole avute in assemblea da Luigi Zanda, capogruppo al Senato del Partito Democratico si traduce: “Qui non è in ballo la libertà di opinione, qui è in ballo la possibilità se i lavori di una Commissione possono essere fermati, da un voto […] la tesi secondo la quale si vota con il gruppo se il proprio voto è necessario e se invece il voto non serve si può votare contro, è una tesi che io non condivido”. Ergo votate come dice lui, Matteo I.

Fonte: Europa, youdem

@FedericaGubinel

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