La crisi Russia-Ucraina e il conflitto su larga scala
A seguito del vertice informale tra Obama, Putin e il neopresidente ucraino Poroshenko, avvenuto sulle spiagge della Normandia in commemorazione del D-Day, nessuno dei presunti segnali distensivi sembra essersi concretizzato in Ucraina, la situazione sembra invece precipitare di ora in ora.
La tregua che le truppe di Poroshenko avrebbero dovuto concedere in settimana alle popolazioni stremate del Donbass è rimasta lettera morta, non c’è stata nessuna cessazione degli attacchi e dei bombardamenti e nessuna apertura di corridoi umanitari. A Slaviansk i ribelli di Novorossia chiedono l’invio di medici per curare le centinaia di feriti, per lo più civili, lasciati sul campo dai bombardamenti dell’esercito di Kiev e della Guardia Nazionale, formata da volontari ed estremisti si Pravy Sector e Svoboda/C14. Nel week-end si è combattuto per il porto di Mariupol (sud-est, Mar di Azov), i bombardamenti sono proseguiti anche a Lughansk e Donetsk, ancora ieri venivano bombardate aree residenziali a Kramatorsk. Sempre a Lughansk le milizie della Novorossia hanno abbattuto un aereo da trasporto militare diretto al fronte con a bordo 40 soldati e 10 addetti del personale di volo. L’episodio lascia pensare che dopo l’abbattimento di numerosi elicotteri, il livello degli armamenti delle milizie e la loro efficacia cresca col tempo, segno che dal confine russo passano almeno le armi. Non ci sono prove che, per ora, soldati russi abbiano mai varcato il confine (come accusato da Poroshenko), mentre è confermata la presenza sulla sponda Ucraina di mercenari statunitensi dell’Academi (già Blackwater) non si capisce pagati da chi, visto che Kiev è in bancarotta. Nello stesso distretto di Lughansk la Guardia Nazionale si sarebbe impadronita della cittadina di Schastie, mentre vicino al confine sarebbero almeno 6 i soldati perduti dal Governo di Kiev a seguito di un’imboscata. Ancora due settimane fa, quando la situazione umanitaria e il livello dello scontro erano già questi, i grandi media italiani parlavano ancora di ‘rischio guerra civile’.
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Sul fronte economico nessun accordo è stato trovato tra Putin e Poroshenko per il pagamento delle vecchie forniture di gas, né per il pagmento anticipato di quelle nuove quindi, a ultimatum ampiamente scaduto, ieri Kiev ha ammesso l’avvenuta chiusura dei rubinetti da parte di Mosca. Putin, fresco dell’accordo con la Cina per enormi forniture pluriennali, possiede col blocco dei gasdotti un’arma strategica con cui poter mettere in crisi non soltanto l’Ucraina ma, più o meno indirettamente, anche l’Europa. Kiev ha risposto denunciando Mosca per la restituzione di presunti pagamenti in eccesso avvenuti in passato mentre, in sordina, l’austera Unione Europea raccoglieva 500 milioni da dare in prestito all’Ucraina per il sostegno macro-economico.
L’evento più sconcertante è avvenuto forse sabato sera quando un gruppo di manifestanti ultranazionalisti ucraini ha assaltato l’ambasciata russa a Kiev, la ragione dell’attacco è stata individuata nella notizia dell’abbattimento dell’aereo da trasporto militare a Lughansk da parte delle milizie filorusse. I manifestanti hanno assediato l’ambasciata di Mosca, territorio russo, per ore, lanciando uova e vernice, devastando le auto dei diplomatici russi, issando la bandiera ucraina sul pennone e deponendo quella di Mosca. Il tutto è accaduto sotto lo sguardo immobile della polizia ucraina (che avrebbe il dovere di proteggere in ogni caso le ambasciate) e del Ministro degli Esteri di Kiev, giunto a dare manforte per l’occasione. Tutti hanno visto quelle immagini in Russia e questo sta già pesando sull’opinione pubblica interna di Putin. L’ambasciata è un luogo ‘sacro’ nel paradigma delle relazioni internazionali, dal punto di vista diplomatico quanto è accaduto è molto vicino a un atto di guerra, bastava una molotov come a Odessa e qualche alto funzionario russo avrebbe potuto farsi male. Un giorno prima, il 13 giugno, Mosca aveva accusato le truppe di Kiev di aver sconfinato in territorio russo, se anche questo fosse confermato sarebbe ineludibile la conclusione che Washington e Kiev stanno facendo quanto è loro possibile per provocare l’invasione dell’Ucraina, perseguendo l’escalation o la resa come uniche opzioni della prossima fase della crisi.
Ieri, infatti, si è diffusa la notizia che nuove truppe da Kiev si stessero spostando, dotate di artiglieria pesante, verso Est, mentre questo video attesterebbe come fin da domenica truppe e mezzi russi fossero diretti verso il confine ucraino. Basta poi cambiare canale o leggere un altro articolo per accorgersi che in Irak la pax americana sta andando in pezzi nel modo più rapido e rovinoso, che il Pakistan e l’Afghanistan sono instabili e tutt’ora in stato di guerra con gli islamisti radicali, che l’Iran si lascia coinvolgere in conflitti fuori dai suoi confini consolidando l’aspirazione allo status di potenza regionale(in questo caso stabilizzatrice), che la Siria annega nel sangue e la Libia nel caos. Sottovalutare la semplice ipotesi, scegliendo di non analizzarla a fondo e di non chiederne conto a chi ci governa, che l’attuale scenario internazionale costituisca la potenziale premessa per un conflitto globale, è una leggerezza che forse non possiamo permetterci. Il meno che si possa dire è che i segnali d’allarme non erano così evidenti da diversi decenni, eppure non c’è nessun tavolo negoziale aperto, nessuna exit strategy, nessuna tregua e nessuno dei nostri eletti che ci dica qual è la posizione dell’Italia, quali i rischi di un protarsi della crisi e quale il gioco al massacro, una volta per tutte, che sta giocando l’Europa.
di Daniele Trovato
Twitter: @aramcheck76