Il Presidente con due soldi
In una recente intervista, pubblicata a Marzo da El País, Juan José Millás racconta la storia di José Mujica Cordero, ex guerrigliero del movimento tupamaros durante il periodo della dittatura militare che dal 2009 è presidente dell’Uruguay.
Il Movimiento di liberaciòn nacional dei Tupamaros nacque in un contesto di profonda crisi economica e sociale, tra gli anni Sessanta e Settanta, come organizzazione di ispirazione marxista-leninista indipendente dai partiti della sinistra uruguayana. Tra il 1967 e il 1973 i governi che si avvicendarono non riuscirono a risolvere la crisi economica e presero numerosi provvedimenti per limitare le proteste dalle quali il paese era sconvolto. Tra il 1971 e il 1972 il presidente Bordaberry ricorse all’uso dell’esercito per sedare e reprimere le rivolte e nel 1973 fu a capo di un golpe militare che instaurò una dittatura sciogliendo il parlamento e limitando le libertà personali. I partiti di sinistra furono messi fuori legge, le rivolte represse duramente e gli esponenti politici del movimento tupamaro, tra i quali lo stesso Mujica, arrestati e torturati. {ads1}
Tuttavia la situazione economica del paese non migliorò e la dittatura militare crollò su se stessa nel 1984 in seguito a ulteriori scioperi e proteste. Nel 1985 si indissero delle nuove elezioni nazionali che videro la vittoria di esponenti dei partiti preesistenti alla dittatura. Nel 2004 la coalizione di sinistra del Frente Amplio, con Tabaré Vazquez candidato presidente, ha vinto le elezioni e cominciato un’intensa azione riformatrice tesa a cambiare radicalmente la drammatica situazione dell’Uruguay.
L’intervista di Millás è l’occasione per venire a contatto con un mondo profondamente diverso dal nostro, che di primo acchito evoca un’atmosfera simile a certi romanzi di Garcìa Màrquez. Egli ci racconta la vita di un presidente del tutto particolare, uscito vincitore dalle elezioni del 2009, che vive in una casa povera con il tetto di lamiera e devolve l’87 percento del suo stipendio a un progetto di edilizia per i meno abbienti. Oggi ha quasi ottanta anni e in passato è stato prigioniero in carcere per 13 anni subendo maltrattamenti infiniti.
Le sue idee politiche sono abbastanza chiare: contrastare gli effetti negativi delle politiche neoliberiste e della globalizzazione con politiche sociali di carattere statale. Il battagliero presidente dell’Uruguay afferma senza troppi giri di parole che oggi chi governa non comanda niente, perché a comandare sono i grandi poteri finanziari: “Non è più il cane a muovere la coda, ma la cosa a muovere il cane“. Per questo motivo, ci spiega, o si tenta di governare la globalizzazione o inesorabilmente se ne verrà governati, il più delle volte a scapito dei più deboli.
Perciò durante il suo primo governo il Frente Amplio, in una situazione di profonda crisi economica, ha promosso piani di sviluppo che hanno creato occupazione, garantito diritti persi durante il periodo liberista (salario minimo, condizioni di lavoro dignitose e tutele per i lavoratori) e rafforzato il sistema bancario statale. Durante la presidenza di Mujica i provvedimenti non si sono fermati, sono stati conquistati diritti civili fondamentali come l’aborto per tutte le donne e il matrimonio tra coppie omosessuali, sono stati rafforzati il sistema sanitario pubblico e quello pensionistico, è stato garantito l’accesso all’acqua potabile al 98 per cento della popolazione e, nella lotta al narcotraffico, sono stati legalizzati la produzione e il consumo di marijuana per uso ricreativo. Inoltre, con una parte dei fondi del Banco de la Republica, Mujica ha creato un fondo per iniziative comunitarie di economia sociale, definite da lui stesso “modelli di sviluppo alternativi al capitalismo” che funzionano come delle cooperative sottoposte a un rigido controllo da parte di economisti ed esperti.
Ciò che stupisce, come emerge più volte nel corso di questa atipica intervista, è la consapevolezza che Mujica, presidente di una repubblica che conta meno abitanti della sola provincia di Roma, ha del fatto che per affrontare i problemi dinnanzi ai quali siamo di fronte sono necessarie politiche globali, poiché globali sono le cause e le dinamiche che li producono. Da soli insomma, senza l’integrazione, la regolamentazione e la cooperazione internazionali non si va da nessuna parte.
In tutto questo egli è rimasto un uomo normale, intenzionato a togliere qualsiasi aura di sacralità alla presidenza, alieno da qualsiasi proposito di arricchimento personale e amante di uno stile di vista assolutamente semplice. Un uomo che vede nella distanza tra i politici e i cittadini una delle malattie peggiori del sistema statale, foriera di una sfiducia che porta le persone a non credere al proprio governo, perché tanto “sono tutti uguali”.
“E invece non è così” conclude Mujica, intenzionato a dimostrare il contrario. Di sicuro il suo Uruguay non è il paradiso, e nemmeno vuole esserlo, ma almeno è un tentativo di costruire un mondo migliore.
Approfondimenti:
L’articolo di Juan José Millás e la relativa video intervista sono disponibili sul sito di El Pais (clicca per il link diretto).
Lo stesso articolo è stato tradotto e pubblicato sul numero 1049 (maggio 2014) del settimanale Internazionale.