Attentato a Karachi dei taliban pachistani

«Questo è un messaggio al governo pachistano, per dire che siamo ancora vivi e vogliamo vendicare la morte di persone innocenti nei loro villaggi». Con queste parole Shahidullah Shahid, un portavoce dei taliban, ha rivendicato l’attacco consumatosi l’8 giugno all’aeroporto di Karachi.

È un paese dalla democrazia alterna il Pakistan, innervato da violenza e contraddizioni. Il premier, per la terza volta in carica, Nawaz Sharif è stato sostenuto dai taliban e il dialogo con loro è nel suo programma politico ma l’antiamericanismo sbandierato in campagan elettorale si è fatto più mite ora che gli serve un prestito dal Fondo monetario internazionale per far ripartire l’economia. E allora i taliban hanno dimostrato, con un colpo sferrato al cuore del paese, che loro in fondo della politica tradizionalmente intesa non hanno alcun bisogno. La sera dell’8 giugno un commando del movimento Tehreek-e-Taliban Pakistan (TTP, i talebani pakistani) si è infiltrato nell’aeroporto internazionale di Karachi, entrando da tre punti diversi, e due kamikaze si sono fatti esplodere. Durante il primo scontro a fuoco con le forze di sicurezza, i militanti del TTP hanno incendiato un edificio nella zona del vecchio scalo e da lì sono cominciati a salire il fumo e le fiamme che le tv pachistane hanno mostrato per tutta la notte. {ads1}

Al termine di una battaglia durata oltre dodici ore l’esercito pachistano ha ripreso il controllo dell’aeroporto, contando almeno 28 morti e 23 feriti, tra cui anche civili oltre ai dodici combattenti che hanno preso parte all’assalto. A di là delle analisi dell’aspetto più pragmatico, su come sia stata possibile l’infiltrazione e di quale sia il grado di sicurezza nel paese, ineludibile anche a casa nostra, in Europa come negli Stati Uniti, dovrebbe essere l’analisi di quella rabbia mai sopita che infiamma l’anima dei talebani, i quali rivendicano apertamente l’attentato, sfidando a viso aperto tanto gli avversari quanto la morte. Il portavoce dei TTP Shahidullah Shahid ha immediatamente rivendicato al suo gruppo la responsabilità dell’attentato, dichiarando: «Questo è un messaggio al governo pachistano, per dire che siamo ancora vivi e vogliamo vendicare la morte di persone innocenti nei loro villaggi». Shahid ha spiegato che l’attentato è una vendetta per l’uccisione dell’ex leader Hakimullah Mehsud in un raid drone Usa nel novembre dello scorso anno.

Questo primo attacco non è bastato a placare la sete di vendetta, che è il primo motore dell’azione taliban. A meno di 48 ore dall’attacco di Karachi se n’è consumato un altro, contro un’accademia delle forze di sicurezza dello stesso aeroporto. Shahid ha detto a Reuters: «Ci assumiamo la responsabilità di un altro attacco riuscito contro il governo. Stiamo raggiungendo con successo tutti i nostri obiettivi e realizzeremo molti altri attacchi», rendendo chiaro che la guerra è ancora lunga e che non si può far finta che non sia stata dichiarata.

Twitter: @Francesca_DeLeonardis

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