I mondiali e gli italiani ieri, oggi e domani
“Gli italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre” Winston Churchill c’aveva visto lungo, il calcio è sempre stato una passione endemica del popolo italiano, amore ed odio, criticato nei suoi eccessi e celebrato nelle sue vittorie.
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All’alba di un mondiale che sta per iniziare non si può non fare un passo indietro nel tempo, per raccontare come la nazionale di calcio sia entrata iconograficamente a far parte del sentimento nazionale. Mondiali 1934 e 1938, due trionfi per la nazionale italiana in piena dittatura fascista, al potere c’è Benito Mussolini, uno che il Bel Paese l’ha dissanguato ma che non gli si può rimproverare di non averlo capito. Il calcio diventa esempio di svago interclassista oggetto di una vivace strumentalizzazione mediatica. Scriveva la stampa di regime in occasione della semifinale Italia-Brasile : “duello fra la forza bruta nei negri e gli esponenti della disciplinata bravura italica” se ne evince come Mussolini aveva intercettato la portata simbolica della nazionale e ne aveva fatto un veicolo propagandistico essenziale per la costruzione di quella “comunità ariana” che tramite l’homo sportivus cavalcava l’ideologia della superiorità razziale. Passa il tempo e la società cambia, la Rai e la televisione entrano nelle case degli italiani che si sono lasciati alle spalle un conflitto mondiale, il 68′ , la rivoluzione sessuale.{ads1} Il 1982 è l’anno del Tetris, dell’omicidio Dalla Chiesa e della P2. Il Mondiale di calcio non si apre sotto una buona stella, una situazione politica precaria, ricca di scandali, tensioni e per gli Azzurri la trasferta spagnola non si annuncia essere un viaggio di piacere. L’Italia di Bearzot, tuttavia, stupirà tutti avanzando imponente verso la coppa del mondo. La finale ormai entrata nell’immaginario collettivo come il miracolo italiano dell’82, viene dominata dagli Azzurri che signoreggiano a Madrid a scapito della nazionale tedesca. Il paese esulta insieme al grido di Martelli: “Campioni del Mondo, campioni del mondo, campioni del mondo!”. Nasce il calcio spettacolo, nascono le star dell’82, nasce quel sentimento di unione e condivisione che legherà per sempre cittadino e nazionale negli anni a venire: “Sono sempre stato orgoglioso di essere italiano […] il popolo italiano non è superiore agli altri popoli ma non è inferiore agli altri popoli” dirà il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, protagonista anch’egli di quel riscatto, di quella festa che per un attimo riesce a dare ossigeno agli italiani e ad alleviar le pene di un Paese in pieno allarme stragista. Si arriva così al 1990: è caduto il muro di Berlino, Andreotti è Presidente del Consiglio, Pertini muore all’età di 94 anni e Papa Giovanni Paolo II si reca in Polonia sotto il regime comunista mentre il cinema lancia Julia Roberts in “Pretty Woman”. L’Italia si appresta ad accogliere i mondiali e per la nazionale di calcio è l’azzurro nell’azzurro, il mondiale delle “notti magiche”, quello in cui si gioca in casa. Gli italiani rispondono all’evento in modo eccezionale, sentito, partecipato e tra i giocatori brillano: Totò Schillaci, Roberto Baggio e Gianluca Vialli, una grande squadra accolta dalla gioia e dall’entusiasmo collettivo, persino la Gazzetta dello sport si sbilancia con un titolo: “Azzurri portateci in cima al mondo“. Un mondiale però, che lascerà l’amaro in bocca consegnando la finale all’Argentina di Maradona e la vittoria alla Germania Ovest per la terza volta ed alla sua ultima competizione ufficiale con quel nome. Ci vorranno sedici anni per un riscatto che avverrà, paradossalmente, proprio in terra tedesca. Il 2006 è l’anno di Saddam condannato a morte, dell’inchiesta Calciopoli e dello scandalo Telecom, Romano Prodi è Presidente del Consiglio e Silvio Berlusconi è costretto all’opposizione. La vera notizia di quell’anno, tuttavia, sarà la vittoria dei ragazzi di Marcello Lippi all’Olympiastadion di Berlino. Una vittoria sofferta ai rigori, accompagnata da polemiche e sfottò in una terra, quella teutonica, storicamente in forte competizione con gli Azzurri. Tutto ciò però, non impedirà a Fabio Cannavaro di issare la coppa del mondo regalando un’immagine che resterà negli annali della storia del calcio.
Quella della nazionale appare, perciò, come una vecchia leggenda, un’ incantesimo che colpisce l’italiano creando un mito popolare in una Repubblica che sembra paralizzarsi quando gioca la nazionale. E’ così che ogni match sportivo acquista una sacralità atipica che ci trasporta mentre cantiamo l’inno e il tricolore garrisce lungo le vie delle città. Appare dunque doverosa una riflessione: cosa sarebbe successo se in questo Paese avessimo dimostrato lo stesso trasporto, riservato al calcio, per le nostre bellezze, per il nostro patrimonio artistico e ambientale? Se ci fossimo sentiti italiani tutti i giorni? Se avessimo apprezzato Caravaggio quanto Pirlo e Buffon? Oggi, forse, ritroveremmo un Paese diverso magari addirittura migliore. “Uno dei guai dell’Italia è proprio questo, di avere per capitale una città sproporzionata per nome e per storia, alla modestia di un Popolo che quando grida “Forza Roma” allude solo ad una squadra di calcio” a dirlo è Indro Montanelli che come Churchill, c’aveva visto giusto.
Twitter: @FedericaGubinel