Born Invisible: le bambine senza voce

Dopo anni di impegno solidale al servizio di Unicef e Fao, dal 2011 la fotografa e giornalista canadese Sheila McKinnon gira l’Italia con la mostra Born Invisible, fino al 28 settembre a Roma, per dar voce al mondo silenzioso di donne e bambine senza diritti.

Si chiama “Sita” ed è da millenni il modello di riferimento per la “brava ragazza” indiana. Protagonista del poema epico Ramayana, è elevata ad esempio di obbedienza al marito e totale sottomissione all’autorità maschile. I cinquanta scatti di Sheila Mckinnon, realizzati dagli anni Novanta a oggi in Oriente e nel Sud del mondo, irrompono nel chiostro del Museo di Roma in Trastevere nei giorni in cui centinaia di donne in India scendono in piazza per chiedere giustizia di fronte all’ennesimo episodio di violenza. Aveva 22 anni la ragazza indiana strangolata e costretta a bere acido dopo un stupro di gruppo, quindici e sedici le adolescenti trovate impiccate la settimana precedente. Due mesi prima e centinaia di km più in là, il Ministro della Giustizia iracheno Hassan al Shammari presentava la nuova bozza di legge Jaafari, che legalizzerebbe il matrimonio con bambine di nove anni per gli uomini di fede sciita. “Il silenzio delle donne è un comodo modo di pensare, tuttora in vigore in ogni angolo del mondo” racconta la fotografa, presentando al pubblico il suo cammino attraverso paesi, vite e sguardi di culture lontane che da sempre strappano di mano alle bambine la possibilità di scegliere il proprio destino. La risposta al dramma della schiavitù arriva dalla schiettezza dei suoi ritratti più intensi, selezionati dalla curatrice Victoria Ericks, ambasciatrice del gruppo mondiale Women for Women International, organizzazione di aiuto umanitario e cooperazione allo sviluppo nata nel 1993 dalla volontà di una donna irako-americana, Zainab Salbi. Percorrere l’esposizione è imbattersi nello sguardo stravolto di Kid Mum, la dodicenne della Sierra Leone che mostra all’obiettivo il suo bambino appena nato in un ospedale di fortuna. Misurarsi con la disperazione dei genitori che vendono le figlie alla tratta umanitaria, nella speranza di una vita migliore.

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Fotogrammi di quotidianità, catturati in presa diretta e manipolati artificialmente senza perdere immediatezza e realismo, come è nello stile di Sheila McKinnon, ancora una volta intenso, geometrico e fortemente cromatico, tutt’uno con i caleidoscopici colori della culture artistiche del sud del mondo. I toni accesi plasmano forma e significato degli scatti,  sfumati verso il centro ad identificare le storie individuali, poi soppressi fino al nero nelle sembianze smaterializzate delle donne costrette al burqa. Un’esca cromatica trascinante per una riflessione su ruolo, sessualità e parità di genere di un miliardo e mezzo di Nate Invisibili nel mondo.

Twitter @EvaElisabetta

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