I venticinque anni di Tian’anmen

Chi ricorda, cerca di dimenticare, e tace. Chi è nato dopo quella notte di giugno del 1989, non sa. Per quelli che tentano di spezzare la censura, di combattere l’amnesia, c’è solo il carcere. Se al di là della Grande Muraglia è un simbolo intramontabile, in Cina Tian’anmen non è mai esistita.

Sono passati venticinque anni, ma tutti ricordano ancora quel ragazzo che, da solo, sfidò i carri armati. Era il 5 giugno 1989. Il giorno prima, o meglio nella notte tra il 3 e il 4, per la prima volta il governo aveva represso nel sangue le manifestazioni popolari. I giovani cinesi domandavano democrazia e libertà, ma l’ordine del Partito fu chiaro: soffocare la protesta e sgomberare la piazza. La mattina dopo, degli studenti accampati, degli operai e dei cittadini che si erano uniti alla ribellione, non c’era traccia. Sotto i cingolati dei tank e i proiettili, fra il sangue delle vittime che ancora non si riescono a quantificare (duecento? duemila?), però, venivano gettate le basi di una società diversa. Una nuova Cina basata su un sogno di ricchezza e benessere era lì, a portata di mano, a una sola condizione. Lasciate stare la politica, aveva detto il Partito. Lasciate stare la politica e tutti potrete arricchirvi. “Arricchirsi è glorioso“. Del resto, nei libri di storia l’anno l’Esercito di liberazione popolare sparò sul popolo cinese è ricordato, genericamente, come “un anno economicamente difficile”. Quella notte in piazza Tian’anmen, le urla, il sangue, il dolore e lo sgomento del mondo intero, sono scomparsi. Scomparsi dalla memoria, dalla Storia ufficiale, confinati nei ricordi di chi c’era ma dice “non è accaduto niente“. Nemmeno internet sembra ricordare. Su Baike, la Wikipedia cinese, Tian’anmen è solo una piazza, 1989 solo un numero. In questi giorni, poi, internet funziona poco, in molte zone non funziona affatto. Google, addirittura, è oscurato. {ads1} Eppure qualcuno sa, ricorda, e non vuole dimenticare. Non solo in Occidente, che seguì la “Primavera democratica cinese” in diretta televisiva, o a Hong Kong, dove, come ogni anno, migliaia di persone hanno commemorato questo anniversario cancellato. Anche in Cina c’è chi sfida la censura e l’oblio. Molti che di quella notte sono stati protagonisti sono fuggiti lontano, ma l’uomo che di Tian’anmen è diventato simbolo, il premio Nobel Liu Xiaobo, è ancora lì, e dal carcere continua a lanciare la sua condanna. Ma anche quelli che venticinque anni fa non c’erano hanno voluto ricordare, cercando spiragli nella cortina di silenzio che il governo ha fatto cadere su “l’incidente del 4 giugno“. Anche se nell’ultimo mese i controlli sono stati intensissimi, con centinaia di poliziotti schierati con la scusa della lotta al terrorismo, numerosi arresti e un rastrellamento continuo del web, qualcuno è riuscito a sconfiggere il controllo dei militari e «il Grande Firewall, il blocco che trasforma l’internet cinese in una grande intranet locale», come riporta China-Files. Così, mentre la polizia setaccia i negozi alla ricerca degli “yuan 4 giugno“, banconote timbrate con scritte che ricordano la repressione, sul web la sfida è lanciata a suon di hashtag (#64, #25Tam) e foto di caratteri scritti sulla pelle. Venticinque anni di damnatio memoriae fatta di silenzio non hanno cancellato quella data che si vorrebbe mai esistita. Dietro la polizia, dietro il Grande Firewall e un sogno di benessere che ha mostrato il suo lato oscuro, c’è ancora quel ragazzo che, da solo, sfidò i carri armati.

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