La vicenda di Andy Rocchelli fa riflettere

The show must go on, si dice. Lo spettacolo deve continuare e così faranno gli amici e i colleghi di Andy Rocchelli, il giovane fotoreporter morto in Ucraina. Cesura, il sito fondato da Rocchelli e altri fotografi, omaggia Andy con un toccante testo inserito proprio nella pagina iniziale.

L’omaggio più grande però sarà quello di proseguire nell’attività con la stessa passione di Andy e di molti altri ragazzi, passione che oramai è sempre più rara o vinta dalle difficoltà che incombono sul mestiere dell’informazione. Un bellissimo mestiere quello del fotografo, o meglio del fotoreporter nel caso di Andrea Rocchelli, molto simile al giornalismo, sia per il fatto di avere a cuore l’informare che perchè a entrambe le attività si associa ormai spesso quella bella parola contenente l’accezione di libertà, ovvero freelance. Gestirsi liberamente il proprio tempo, poter viaggiare e lavorare in e da qualsiasi parte del mondo suona intrigante e, da una parte, lo è. Quella di Andy, così come quella di altri giovani “freelance dell’informazione”, visiva e testuale, ragazzi pieni di entusiasmo, assetati della scoperta di ciò che si trova al di là di quella realtà “ufficiale” che, quotidianamente, siamo obbligati a leggere, a guardare o ad ascoltare, è una scelta di vita; una scelta che, come tutte, ha un prezzo. E la scelta Andy l’ha fatta precocemente; con questa tempistica, in realtà, si è svolta tutta la sua vita, inclusa, purtroppo anche la morte, che l’ha raggiunto alla tenera età di trenta anni. Dopo un Master, appena finiti gli studi liceali, al Politecnico di Milano in Visual Design, Andrea Rocchelli inzia a lavorare per Grazia Neri Photo Agency, la prima agenzia fotografica italiana e, nel 2007, quindi a 23 anni, entra come assistente nello studio del fotografo Alex Majoli. Ed è proprio in questo studio, a Pianello Val Tidone, in provincia di Piacenza, che prende vita CesuraLab, il collettivo di fotografi e videomaker fondato, nel 2008, da Andrea e da altri amici che, come lui, condividono la passione per il racconto, attraverso però la produzione di qualcosa di nuovo. Collaborando per la Bbc, il Time, il New York Times, Le Monde, Andrea, in un’intervista fatta per Repubblica, sottolineava come questi interlocutori editoriali esteri, a differenza di quelli italiani, fossero “degli interlocutori che possono permettersi di produrre, di creare, senza buttare insieme e rimescolare cose già fatte. Se non produci nulla non sei indipendente, non fai roba nuova e nel giornalismo quello che è già stato fatto è vecchio”. E all’insegna di questo modus operandi fuori dagli schemi, alla ricerca della storia, la storia di ognuno di noi, quindi quella su cui i riflettori non puntano, di cui le news delle maggiori testate non parlano, si è basata l’attività di Andy Rocchelli. La sua e quella dei suoi amici e colleghi di Cesura i quali, dopo la tragica scomparsa di Andrea a Sloviansk in Ucraina per un colpo di mortaio, mentre documentava la vita degli assediati in una delle zone più calde del conflitto, hanno espresso il loro lutto con un bellissimo testo posto sulla home page del sito. E le parole di questo testo testimoniano come Andy fosse una persona in possesso delle qualità necessarie per affrontare la dura vita del freelance: coraggio, dedizione, caparbietà, onestà. “Freelanceare” può essere bello si, ma dietro al viaggio e alla scoperta c’è dell’altro, e così come il freelance cerca ciò che non si vede subito, anche la sua vita diviene, o è sempre stata, “altro”, fuori dal comune. “Freelanceare” significa inventarsi il modo di andare avanti, inseguire il sogno di raccontare una verità delle volte scomoda, pericolosa e con tanta abnegazione e immedesimazione da far dimenticare quelli che sono i rischi e pericoli che si stanno correndo. Andy era sempre stato interessato all’Europa Orientale; nel 2009 aveva iniziato a documentare, in maniera seriale e presenziale, degli abusi dei civili negli Stati del Caucaso, per poi spaziare nella crisi etnica del Kyrgyzstan del sud fino alla guerra in Ucraina. Per anni ha fatto avanti e indietro tra Italia e Russia, dove, per andare avanti, ha lavorato un periodo per conto di un’agenzia che aiutava le donne russe a trovare marito; Andy fotografava queste signore la cui immagine sarebbe stata inserita su Internet per “adescare” i pretendenti. Già, dura la vita di un freelance, soprattutto se italiano.

{ads1}

É vero che lo “stare sul campo” in determinati contesti è sempre un rischio. Il caso Rocchelli purtroppo non è il primo; come lui infatti molti altri giornalisti, fotografi e fotoreporter di migliaia di nazionalità e collaboratori di altrettanti mezzi di comunicazione, hanno perso la vita o sono andati molto vicino a questa tragica fine. Al di là della fatalità c’è però dell’altro e, prendendo spunto dal caso di Andrea, che è stato uno che è sempre voluto andare fino in fondo alle cose, anche a costo di perdere la vita, possono fuoriuscire numerose altre questioni ascrivibili a un’inconsistenza che permea la professione giornalistica. Da mesi oramai ci si sta battendo per l’equo compenso a favore dei giornalisti freelance, che oramai rappresentano il 60% dei giornalisti attivi italiani. L’equo compenso che, nel senso stretto del termine, permette al lavoratore autonomo di vivere dignitosamente del proprio lavoro e che, nel senso più ampio, garantisce al freelance la protezione necessaria per svolgere la propria attività. Battersi dunque per un sistema di retribuzione-previdenza-tutele adeguate alle funzioni e ai rischi assunti: tutti elementi che, a oggi, non esistono e portano al parcheggio dei lavoratori autonomi. Abbandonati a se stessi, tutto quello che gli resta è l’entusiasmo, la voglia di fare, la passione e il coraggio. Il caso di Andrea Rocchelli, padre di un bambino di due anni, dovrebbe far riflettere su tutto questo.

 

Twitter @IlariaPetta

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *