Emergenza immigrazione, una malattia cronica

Succede di nuovo. Si contano i morti: corpi dispersi in fondo al mare e, con essi, l’ennesima speranza di cambiamento. Di nuovo si contano le ipocrisie, le immagini che fanno male a qualcuno e bene a qualcun altro; i sensazionalismi; le strumentalizzazioni.

Il ministro dell’ Interno, da copione, ha alzato i toni contro l’ UE. Un acceso dibattito che si è chiuso con le parole della Commissaria Europea Cecilia Malmstrom che ha espresso << condoglianze per i recenti tragici eventi>> e <<riconoscenza della Commissione Ue per l’eccellente lavoro che l’Italia sta facendo>>. Se le condoglianze sono superflue, è senza dubbio vero che l’ Italia sta facendo un grande lavoro: ma tutt’altro che eccellente. Un enorme dispendio di forze e denaro, per aggirare un problema decennale.
Quello migratorio, nel suo complesso, è un fenomeno umano globale che va esaminato e affrontato in virtù della sua portata fisiologica ed epocale; occorre perciò fugare strumentalizzazioni terroristiche di una presunta emergenza, che nella realtà degli ultimi anni appare piuttosto cronicizzata. <<Se è vero che l’Italia, come altri Paesi membri ha subito un aumento dei flussi migratori, altri Paesi ricevono molte più richieste di asilo>>, ha ricordato la stessa Malmstrom. Secondo il rapporto dell’ UNHCR relativo all’anno 2013 <<la Germania, con 109.600 istanze, è stato il Paese con il maggior numero di nuove domande di asilo. Anche la Francia con 60.100 e la Svezia con 54.300 sono state tra i principali Paesi di destinazione>>. Ci precede anche la Turchia, in cui sono state presentate 44.800 domande di asilo, soprattutto da parte di cittadini iracheni, afghani e siriani. L’Italia ne ha invece ricevute 27.800 e la Grecia 8.200>>.
Quando dichiara che <<purtroppo arrivano clandestini, e non profughi>>, il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni trascura che è grande merito dell’influenza leghista sulle passate legislature, se a questi uomini e donne non viene concesso alcun titolo di soggiorno all’arrivo, neppure provvisorio, che invece aiuterebbe a contrastare abusi e speculazioni e faciliterebbe l’inserimento nel mondo del lavoro. Alfano chiede modifiche al Regolamento di Dublino contestando la regola secondo la quale il Pese in cui vengono avviate le procedure di identificazione debba essere lo stesso in cui viene presa in esame la domanda d’asilo. Una regola assurda che ha paralizzato qualsiasi prospettiva di soluzione, generando anzi negli anni un universo umano sommerso di sofferenza ed esclusione sociale.
<<Uno dei punti chiave dell’agenda del semestre italiano di presidenza Ue sarà la spinta verso una politica comune sull’immigrazione>>, rassicura il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con la delega per gli Affari Europei Sandro Gozi. E quando a fine giugno 2013 veniva varato Dublino III, non si conoscevano già le priorità e il loro drammatico prezzo di vite umane? Sono dieci anni che, pur evolvendosi, questo regolamento rappresenta un documento insidioso per i diritti dei migranti, nonché per gli interessi degli stessi Paesi contraenti, che difatti si trovano in una condizione di disuguaglianza, in quanto la pressione sulle regioni esterne di confine, e quindi sulle zone costiere, è maggiore per definizione.
D’altronde questa Europa è collaudata come una fortezza senza cuore, non come un’alleanza solidale.

Oggi l’ argomento che fa breccia sulla prospettiva elettorale dell’italiano medio ai tempi della crisi, sono senza dubbio i fondi perduti nel finanziamento dell’operazione Mare Nostrum. Perché non utilizzare dunque le stesse somme per introdurre dei percorsi legali e protetti d’ingresso, come un corridoio umanitario?
Quello che manca nel nostro Paese è un piano di accoglienza nazionale, strutturato secondo principi attuali, lungimiranti, umani. Tutto quello che finora c’è, è un sistema di accoglienza basato sull’attesa, la burocrazia e la detenzione preventiva, che non fa che accrescere la pressione sociale e portare sotto lo zero ogni prospettiva di inclusione sociale. Un sistema di strutture chiamate CIE e CARA, eredità degne delle peggiori destre e sinistre italiane, disseminate lungo tutta la penisola e messe in mano a cooperative di comprovata disonestà. Neanche la vaga sembianza di una politica cosciente e risolutiva, ma l’ombra ingorda di piramidi di investimenti, appalti, sistemi clientelari e furti, che inghiotte fondi nazionali ed europei. <<Un dossier segreto commissionato dal Viminale svela il meccanismo attraverso il quale i soldi del pocket money, destinati agli ospiti dei centri d’accoglienza, non vengono distribuiti e spariscono nel nulla>>: il campanello di allarme viene da un’inchiesta di Raffaella Cosentino e Alessandro Mezzaroma pubblicata su RE Inchieste; << Si tratta di denaro che lo Stato versa agli enti gestori>> spiegano chiaramente i giornalisti.
Viene da domandarsi perché il Viminale non abbia reso pubblico prima l’esito del monitoraggio su queste strutture, condotto anche esso con soldi pubblici.
La xenofobia alimentata da un’informazione assente o lacunosa si conferma un’arma politica equivoca ed efficace; meno conveniente sarebbe certo spiegare perchè uno Stato, di fronte a soluzioni ovvie, debba indugiare in meccanismi che favoriscono ampi margini di illegalità.

Twitter: @AriannaFraccon

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *