La Trilogia dell’attesa al Teatro Vascello

Bastano pochi secondi per cogliere in una parola un richiamo eterno. È l’attesa che Beckett ha trasformato in una sua proprietà. Nel trittico della Compagnia La Fabbrica, La Trilogia dell’attesa, per due sere (6 e 7 maggio) al Teatro Vascello, il tempo si presta a una rinnovata teatralità.

Attesa del pubblico, attesa per il pubblico: gli attori a sipario alzato aspettano inquietanti che lo spettacolo cominci. Varie attese si incrociano creando un corto circuito teatrale. Aspettando Nil, Quando saremo GRANDI!, Hansel e Gretel. Il giorno dopo: ogni parte del corpus drammatico acquista maggiore forza grazie al vincolo della rappresentazione. Si svelano numerose impossibilità: parlare, muoversi, crescere e mangiare diventano sforzi innaturali, impensabili e maldestramente compiuti. Grazie a un pressante lavoro sul corpo, tanto ingrandito e deformato quanto scheletrico e curvo, l’attore e il suo spazio assumono un peso anche maggiore della parola recitata, uno spazio anch’esso, impossibile, inagibile.

Sullo sfondo di un enorme disagio familiare, prendono vita tre piccole storie. Aspettando Nil è un lavoro ricchissimo, dove in giusta dose riso e dramma si mescolano impensabilmente e armoniosamente. Nel mezzo c’è Quando saremo grandi. Il personaggio violento (la mamma nel primo atto) si è trasformato nel fratello burbero, poi ancora in Hansel nel finale. Tra gli accenni a una sessualità deformata, nei succhi di frutta accumulati sul pavimento si dichiara la ragione dei capelli bianchi sulla testa dei bambini. L’infanzia più distorta e misera diventa quindi un sacco di bambolotti piovuti dal cielo. Infine nell’ultimo episodio, quasi la summa dei primi due, i temi si ripetono in modo rassicurante e meccanico. Le stesse eccezionali attrici dell’apertura (Elisa Bongiovanni e Giada Parlanti) hanno forse perso parte della loro credibilità. Se anche l’allestimento è quello decisamente più pittorico e estetizzante, il significato stesso dell’attesa si è impoverito, depresso.

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Le donne aspettano Nil, i bambini la mamma, Hansel e Gretel il papà, in questa maledizione del tempo i corpi si consumano, una vita misera lascia spazio a una ridicola morte. Ogni rivendicazione è stemperata da un giusto grado di disimpegno, la pillola amarissima viene disciolta in un grottesco ridere. Ma in due ore e mezzo di spettacolo, questo incantesimo inevitabilmente quasi si spegne, lasciando spazio a un riso decontestualizzato, fastidioso. Nella testa del pubblico divertito anche la morte ha assunto i contorni della commedia. La trilogia in generale risente involontariamente di un’assenza di consapevolezza emotiva e culturale del nostro contesto, di tutti i contesti.
Ma a questo punto, è ambiguo il messaggio o è ambigua la realtà?

Twitter @LaviniaMartini_

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