Paolo Bonacelli è il malato immaginario

Di questo malato immaginario, quasi leggendario, si è detto (e apprezzato) quasi tutto. In occasione del suo ritorno a Roma, qualcosa sembra ancora possibile da aggiungere (e apprezzare). È il Teatro Eliseo a ospitarlo, dal 6 al 25 maggio, mentre alcuni anni fa già il Quirino era stato, appunto, teatro di una stessa rappresentazione romana.

Il peso di più di 170 recite porta con sé l’effetto di una paradossale leggerezza, di un collaudo perfetto. Al centro della scena il malato, Paolo Bonacelli, che in vestaglia e in poltrona, per quanto vicino alla morte, esprime al massimo la sua forza volitiva, sia nel ribadire una generica natura di degente sia nel propinare alla figlia il marito che preferisce, a suo interesse, non c’è che dirlo, medico. Ironicamente tesse le fila della commedia, senza prendersi troppo sul serio. Una scenografia essenziale e opportunamente di maniera fa da cornice ai capricci di questo infermo così vitale: una lunga fila di boccette di medicamenti diventa il battiscopa di una grande parete opaca, quasi la realtà dietro l’immaginario del malato, lo sfondo sul quale gli altri personaggi vengono e vanno, mentre lui, caparbiamente, resta.

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Una ricca sfilata di caratteri alla Molière dove il più reale è proprio, il suo malato. Ruolo che il drammaturgo aveva cucito con precisione su se stesso, sulle contraddizioni del suo animo: Argante è il personaggio più autoreferenziale del suo teatro e quest’opera la più metateatrale di quell’epoca. Basti ricordare che proprio Molière, attore oltre che scrittore, infermo per davvero, morì dopo aver portato a termine le prime repliche di questa che sarà, per sempre, la sua ultima opera.

Due ore che scorrono via velocissime e accattivanti, merito di una regia, quella di Marco Bernardi, che ha saputo intervenire sul testo con il giusto coraggio e il dovuto rispetto. Tra aggiunte e tagli, la drammaturgia si svela infatti nella traduzione agile e dinamica di Angelo Dellagiacoma. Tralasciati i lunghi intermezzi pastorali, i tre atti si chiudono con brevi citazioni carnevalesche, le maschere della commedia dell’arte che gli italiani avevano diffuso con grande successo in Francia. Ma nel camminare in bilico tra passato e presente, il successo dell’operazione dipende in buona parte dalla personalità degli attori, che imprimono alla recitazione un’ampia gamma di colori. Oltre a Bonacelli, vale la pena di citare la serva Tonina (Patrizia Milani) e la figlia Angelica (Gaia Insegna).

Twitter @LaviniaMartini_

 

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