#BringBackOurGirls, il grido per le studentesse nigeriane

Sono passate oltre tre settimane dalla notte tra il 14 e il 15 aprile, quando 276 studentesse tra i 12 e i 17 anni sono state fatte sparire dal loro dormitorio a Chibok, nel nord-est della Nigeria. Giorni lunghissimi e carichi di dolore si sono susseguiti da allora per le ragazze rapite e le loro famiglie ma il governo nigeriano è rimasto indifferente. Il suo unico atto di forza è stato nei confronti di chi si è mobilitato per le ragazze.

Lascia di sasso il silenzio che in tutti questi giorni il governo nigeriano ha riservato al rapimento di quasi trecento ragazze. Il gesto folle è stato rivendicato dalla mano fanatica del gruppo fondamentalista islamico Boko Haram, il cui stesso nome svela il movente: “Boko Haram” tradotto diventa “l’educazione occidentale è peccato”. In un video lungo 57 minuti il leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, ha dichiarato apertamente che le studentesse rapite saranno ridotte in schiavitù, vendute e date in moglie: «Ho rapito le vostre ragazze e le venderò al mercato, come vuole Allah». L’ipotesi più probabile è che siano state vendute per pochi dollari ai combattenti islamici di Camerun e Ciad. Sembra che otto dollari sarebbe il prezzo per una piccola nigeriana data in sposa a un miliziano. Otto dollari è il prezzo di un’anima. {ads1} 

Cinquantatré ragazze sono riuscite a sfuggire ai rapitori e stando ai loro racconti alcune delle restanti 233 studentesse sarebbero già state vendute in questo squallido mercato delle mogli o costrette ad andare in spose agli uomini di Boko Haram. Questo abominio si è consumato nel gelo di una terribile indifferenza iniziale. Poi pian piano qualcuno si è mosso. Malala Yousafzai, la giovane attivista pakistana per l’affermazione dei diritti civili e dell’istruzione, presa di mira dai talebani e candidata al Premio Nobel per la pace, ha lanciato in rete la campagna #BringBackOurGirls, per far crescere la pressione sulle autorità nigeriane. Sta partecipando attivamente all’iniziativa anche l’ex segretario di Stato americano Hillary Clinton ma soprattutto stanno facendo sentire la propria voce le donne nigeriane, che hanno organizzato manifestazioni davanti al Parlamento, nella capitale Abuja, per sollecitare le autorità.

La reazione del presidente nigeriano Goodluck Jonathan e della first lady Patience Jonathan tuttavia è inaccettabile. A giorni di nulla totale è seguita una reazione che invece di abbattersi sui colpevoli ha colpito il popolo. L’Associated Press riferisce che la first lady ha ordinato l’arresto di due donne che si erano mobilitate per sollevare l’attenzione sul rapimento: Naomi Mutah Nyadar e Saratu Angus Ndirpaya. La prima è stata rilasciata mentre la seconda è ancora in stato di fermo. Nyadar riferisce che il presidente Jonathan ha addirittura espresso il dubbio che i leader delle proteste appartengano alla rete responsabile del rapimento e vogliano infangare il nome del presidente. Dopo queste poche e pessime mosse Goodluck Jonathan si è deciso, il 4 maggio, a rivolgere un appello ai leader dei diversi paesi, tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Cina, affinché aiutino la Nigeria a ritrovare le ragazze scomparse. Ma un appello non basta a mutare una condotta, così come otto euro non possono cancellare il diritto alla propria libertà.

 Twitter: Fra_DeLeonardis

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