Gli ultras blindano una città intera
Giorno nuovo, scene vecchie, parole già sentite, discorsi già fatti. Ecco come Roma, e tutta l’Italia, si sveglia in questa domenica uggiosa di Maggio. Una domenica in cui il primo pensiero di tutti è quello che è successo ieri nel mondo del calcio.
Una città che ha ospitato una finale di Coppa Italia e che è stata sotto sequestro tutto il giorno da dei tifosi che la parola sportività non sanno neanche dov’è di casa. Una domenica che vede sempre lo stesso copione. Quello che è andato in scena ieri è l’ennesimo spettacolo di violenza raccapricciante che questo sport regala al mondo italiano. E, come nei migliori spettacoli, sono sempre gli innocenti a rimetterci la pelle, in tutti i sensi. Senza ricordare tutte le vittime che, ogni volta, sono state colpite, a oggi basti pensare che l’ultima a cui ci si riferisce è un ragazzo di soli 29 anni che ha passato una giornata e una notte intera a lottare tra la vita e la morte perché colpito al torace da una pallottola. Ebbene sì, entra in gioco, questa volta, un nuovo elemento: una pistola. {ads1} Come può un oggetto simile saltare fuori dalle mani di un cittadino “comune” e andare a colpire un povero innocente che semplicemente sta andando a vedere la sua squadra del cuore allo stadio? Come possono entrare in uno stadio, nonostante tutti i controlli, ancora bombe carta e essere lanciate addosso a chi è lì per lavorare? Com’è possibile che un vigile del fuoco debba sentirsi obbligato a piegarsi e sentirsi male perché colpito da una di queste? Com’è possibile che, coloro che sono sotto il mirino della DIGOS, e non solo, continuano a essere liberi e possono girare per strada come se niente fosse? Tante domande, poche, se non nessuna, risposta.
Quello che fa storcere ancora di più il naso e fa rivoltare lo stomaco è come la città, i giocatori, le società siano state gli ostaggi di ultras che hanno deciso loro se la partita dovesse svolgersi o dovesse essere sospesa. Il potere è nelle mani dei tifosi, e la cosa fa davvero ridere. fa ridere come in uno stadio che ospitava il Presidente del Consiglio, quello del Senato, i vertici del CONI e delle Forze dell’ordine il permesso al calcio di inizio sia stato dato da Genny ‘a carogna Fa ridere come fa ridere il nostro paese ogni giorno. Fa ridere come accade quando alla parola Italia viene ormai accostata solo un’altra parola: indignazione. E c’è chi si vergogna di queste scene. C’è chi è stanco di dover abbassare ancora la testa, c’è chi chiede giustizia e poi deve leggere parole come “Speziale libero”.
Ecco cos’è il calcio italiano. Vergogna, squallore, violenza, crudeltà e incapacità di condividere una giornata che dovrebbe essere solo di festa. Non si fanno differenze di razza, colore, schieramenti politici e quant’altro. Il mondo del calcio, quello violento, è una grande famiglia, molto più grande di quella innocente, che ha preso il sopravvento su forze politiche e momenti decisionali e che, a quanto pare, non si riesce a sovrastare. E cadiamo, ancora una volta, nel ridicolo. Siamo, ancora una volta, derisi dal mondo intero. L‘Italia è, ancora una volta, cieca. Che bucassero i palloni, che chiudessero gli stadi, che facessero qualcosa di saggio, almeno una volta e che, il mondo italiano, capisse davvero cosa vuol dire la parola “sport” e aprisse gli occhi su tutto quel mondo che va al di là del calcio, fatto di condivisione, gioia, sorrisi, musica, applausi e sudore di chi ci crede davvero, in questa parola.