Arriva il Jobs Act, resta la flessibilità

Jobs Act, Cgil Act, PrecariAct. Tra definizioni neutre e ironiche storpiature la riforma del lavoro è sulla bocca di tutti e viaggia tra le Camere per diventare legge. Ma quanto sappiamo di questo testo che tante ripercussioni avrà sulle nostre vite?

Usate dai partiti politici come slogan elettorali e trattate con sufficienza dai “benaltristi”, per i quali non sono le leggi che creano posti di lavoro, in realtà le linee espresse nei pacchetti lavoro incidono profondamente nella nostra vita professionale e sicuramente hanno già concorso alla precarizzazione di cui siamo ostaggio. Il Jobs Act di Renzi, entrato in vigore lo scorso 21 marzo e attualmente in iter di approvazione alle Camere, ha attraversato un dibattito acceso, incrociando anche il fuoco amico dello stesso Pd, parte del quale ha spinto per apporre delle modifiche al testo. La principale di queste correzioni, già approvate alla Camera, è che sono stati ridotti da otto a cinque i rinnovi possibili di contratti a tempo determinato in tre anni, sempre che ci siano ragioni oggettive e si faccia riferimento alla stessa attività lavorativa. Il principio di non trascinare un rapporto di lavoro privo di progettualità e prospettive a lungo termine è idealmente giusto e cinque rinnovi sono già tanti ma la direttiva avrà effetti positivi solo le aziende cesseranno di abbandonarsi a un ricambio a baso costo senza sosta e comprenderanno che la formazione del personale destinata all’assunzione restituisce valore aggiunto. {ads1} 

Con il Job act viene alzata a 12 a 36 mesi la durata dei contratti a tempo determinato senza causale, cioè quelli per cui non è obbligatorio specificare il motivo dell’assunzione. La forza lavoro così assunta non potrà essere più del 20 per cento del totale degli assunti ma comunque fa gioire le aziende perché la causale è stata spesso fonte di contenzioso. Sembra si vada in direzione di una flessibilità sempre maggiore, con grossi dubbi sulla bontà delle ripercussioni che questo avrà in materia di occupazione. Quanto ai contratti di apprendistato arrivvano notizie dolciamare: i contratti di questo tipo avranno meno vincoli, per esempio per assumere nuovi apprendisti non sarà obbligatorio confermare i precedenti apprendisti alla fine del percorso formativo. Così si allarga il bacino di ingresso ai contratti di apprendistato ma senza troppe garanzie di assunzione, e dopo tre anni con una retribuzione al 35% rispetto al livello contrattuale di inquadramento non sarebbe un addio spensierato.

Il ministro Padoan sostiene che questi provvedimenti faranno aumentare l’occupazione ma, tra le voci di dissenso, l’economista Emiliano Brancaccio, docente dell’Università del Sannio, risponde al ministro che la ricetta di ulteriore flessibilità del lavoro verosimilmente non aiuterà a creare nuovi posti di lavoro: «Assisteremo a una ulteriore precarizzazione dei contratti di lavoro. Ci sono novità peggiorative anche rispetto alla riforma Fornero, come l’eliminazione della causale sui contratti a tempo determinato, la possibilità di prorogare questi contratti e l’annacquamento dell’obbligo di stabilizzazione degli apprendisti».

Twitter: Fra_DeLeonardis

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