LO SCREDITAMENTO PROFESSIONALE
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 8006 del 14 aprile 2014 così ha statuito: “Nel regime di tutela reale la predeterminazione legale del danno risarcibile in favore del lavoratore (con riferimento alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione) non esclude che il lavoratore possa chiedere il risarcimento del danno ulteriore che gli sia derivato dal licenziamento”.
La fattispecie sottoposta all’esame della Suprema Corte verteva circa la vicenda inerente un datore di lavoro, vistosi condannare nei due gradi del merito, al risarcimento del danno, ai sensi dell’articolo 18, Legge n. 300/1970, per aver illegittimamente licenziato un proprio lavoratore dipendente.
Ebbene gli Ermellini non hanno condiviso quanto statuito nei precedenti gradi di giudizio, ed accolto, sebbene in parte, le doglianze della parte datoriale e, specificatamente, con riferimento all’erronea quantificazione del danno conseguente da parte della sentenza impugnata.
Il filone giurisprudenziale che, in tema di risarcimento del danno dovuto dal datore di lavoro in conseguenza dell’illegittimità del suo recesso e che stabilisce un limite temporale massimo di detto danno nei tre anni successivi al cessazione del rapporto di lavoro, decorrenti da tale evento, è stato confermato dalla Suprema Corte, poiché quell’arco temporale è da considerarsi sufficientemente ampio da consentirgli di trovare un’altra occupazione, sempre che non ricorrano alcune particolari avverse circostanze quali condizioni di mercato sfavorevoli o particolari qualità soggettive del lavoratore licenziato.
Il Supremo Collegio ha tuttavia riconosciuto il diritto del lavoratore licenziato a chiedere, ed ottenere, in aggiunta al summenzionato risarcimento, il risarcimento di ogni ulteriore danno patito e subito a causa dell’ingiusto recesso datoriale (es. da screditamento professionale).