Un’Europa senza Euro, la sfida di Borghi e Bagnai

Auditorium Antonianum, centro di Roma, sabato mattina. In circa quattrocento abbiamo pagato il biglietto per assistere ai lavori di “Un’Europa senza Euro”, convegno di economia organizzato dall’associazione Asimmetrie.org.

Fondata da Alberto Bagnai e Claudio Borghi Aquilini,  l’associazione è nata per promuovere in Italia il dibattito scientifico sulla crisi dell’ Euro e gli squilibri economici (“asimmetrie” appunto) provocati dalla moneta unica. Oggi, con l’onda elettorale NoEuro che si prepara a travolgere le elezioni europee, l’argomento sembra quasi di moda, ma ancora un anno fa il dibattito era  del tutto assente sui media, completamente schiacciati sulle tesi di quello schieramento politico unanime e trasversale che qui chiamano PUDE (Partito Unico Dell’Euro). L’obbiettivo dichiarato di Asimmetrie.org è superare l’omologazione ideologica e riportare la discussione su un piano strettamente scientifico. Al banchetto degli accrediti stampa (accredito cui rinunciamo per contribuire all’iniziativa), a parte Parolibero e pochi altre testate online, all’apertura dei lavori la lista dei media intervenuti è ancora drammaticamente corta (le cose però saranno destinate a cambiare). Gli speaker sono economisti prestigiosi, ex-commissari della UE (pentiti?), storici, antropologi e altri accademici intervenuti da tutta Europa, molti di loro sono tra i firmatari del ‘Manifesto di solidarietà Europea’, testo cardine per l’elaborazione di strategie d’uscita dall’area valutaria comune e dai disastri che ben sette Premi Nobel, tra gli altri, sostengono chel’Euro abbia provocato. I partecipanti al contrario non sono (o non erano) appassionati ed esperti di economia, accanto a me siedono un simpatico e preparato operaio veneto con l’azienda in crisi e un ingegnere che ha perso il lavoro. Si sono chiesti cosa stia succedendo alle loro vite e hanno trovato più risposte nei libri, nei blog e negli interventi di Bagnai, Borghi, Giacché, Barra Caracciolo, Savona e Rinaldi, di quante gliene siano state fornite dalla politica in sei anni di recessione, disoccupazione, scorticamento del welfare e distruzione del tessuto industriale del paese. Vengono da tutta italia, spesso non si conoscono tra loro, altre volte sono in contatto da mesi ma ancora non lo sanno, cercano di riconoscersi l’un l’altro decodificando i propri volti dalla confusa fisionomia miniaturizzata dei rispettivi profili Twitter. Si ascoltano conversazioni come questa: ‘Stavo leggendo questo tweet di Tizio, ha ragione da vendere’, ‘ma Tizio sono io! Non sarai mica Caio?’, abbraccio, reunion, carramba.

 

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L’organizzazione è impeccabile con tanto di materiale cartaceo, rassegna stampa e traduzione simultanea. L’aula ricorda, per la conformazione emiciclica e la comodità degli scranni, quella di un piccolo parlamento che ne evoca un altro, più grande e delegittimato, in cui queste voci non hanno voce. Dopo l’agenda e le presentazioni si inizia con un’analisi degli effetti della crisi imperniata sul caso greco e un breve documentario (101 Dalmata, finanziato in Crowd Funding) che per una volta non ci mostra le visite ufficiali della Merkel  o gli scontri di piazza ad Atene, ma la sanità ellenica che lascia morire i propri pazienti o, se li cura, arriva poi al pignoramento dei beni pur di far loro pagare il diritto alla vita. In sottofondo le parole ‘illuminanti’ di Mario Monti: ‘Non è un paradosso se dico che la Grecia rappresenta il grande successo dell’Euro, adesso infatti stanno facendo le riforme’. Di riforme e propaganda la gente muore, spiegano rispettivamente l’antropologo Panagiotis e l’esperto di comunicazione Marcello Foa, nei rispettivi interventi. Per quei morti, in sala verrà rispettato un raccolto minuto di silenzio, senza applausi né retorica. La Grecia e i suoi suicidi, la sua mortalità infantile impennata del 43%, il suo 30% di disoccupazione, la sua carenza di cibo e combustibili rappresentano il futuro prossimo e possibile dell’Italia, con questa consapevolezza si entra nel cuore dell’evento di oggi.

Introducono Kaminski, Bolkenstein (sì proprio lui, il commissario europeo della famigerata ‘direttiva’ sulla mobilità del lavoro, sarà uno dei più categorici ‘L’Euro ha fallito tutti i suoi obbiettivi’ ) e lo stesso Bagnai. Seguono tre Panel più prettamente economici e geopolitici sugli scenari possibili di disgregazione dell’Euro. Nel primo si analizza la proposta del ‘Manifesto di solidarietà Europea’ per un’uscita controllata dei paesi del nord (Germania in primis) e un successivo lento scantonamento delle economie periferiche (Henkel ex-confindustria tedesca, Kawalec, Antoni Soy, Piergiorgio Gawronsky, Giorgio La Malfa). Nel secondo si guarda alle dinamiche e alle prospettive divergenti tra Francia e Germania, con la prima sempre meno in grado di giustificare alla propria opinione pubblica il prezzo di un’Unione che comincia a farsi insostenibile anche a Parigi (Vesperini, Oppenheimer, i Granville e Paolo Savona). Il terzo Panel punta i fari sull’uscita dei paesi periferici, lo scenario più rischioso e forse politicamente più maturo con Borghi, l’appassionato ed esaustivo Lapavitsas e il padrone di casa, Bagnai, caustico, polemico ed efficace (qui si snocciolano quei numeri che nel pollaio televisivo non hanno asilo) come abbiamo imparato a conoscerlo sul Goofynomics e nel testo ‘Il tramonto dell’Euro’. Chiude da bastion contrario Riccardo Puglisi, nel ruolo di discussant. Mentre si susseguono gli interventi l’evento guadagna le prime posizioni sui trend nazionali di Twitter, forse anche per questo arrivano la grande stampa e la TV nazionale (paura di bucare la notizia?), pronta a fare i propri veloci riassuntini e a seguire l’ultima tavola rotonda, quella in cui i politici invitati discutono tra loro: Salvini (Lega), Crosetto e Alemanno (FdI), Boghetta (Rifondazione), Fassina (PD) e Messina (IdV). Sono quasi le sei e noi che siamo qui da stamattina, salutiamo l’operaio veneto e l’ingegnere disoccupato, lasciando i politici e le loro chiacchiere alle attenzioni dei media importanti, convinti come siamo che questa sia l’unica parte poco interessante del convegno. Chiunque finisca per cavalcarla elettoralmente (il che per chi scrive fa differenza eccome), l’impressione è che l’onda sia ormai partita e, stavolta, i frangiflutti del mainstream non basteranno ad arginarla.

di Daniele Trovato

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