Contratti flessibili e precariato a oltranza
Si chiama Jobs-act, la proposta di riforma del mercato del lavoro varata dal Governo Renzi e approvata dal Consiglio dei Ministri lo scorso 12 marzo. Il richiamo alle riforme del mercato del lavoro statunitense e a quelle tedesche, lanciate dalla Merkel, quanto meno in apparenza, è evidente ma vediamo se è altrettanto realistica l’ambizione a seguire questi due modelli internazionali.
La prima parte di questo progetto ha visto passare il decreto legge per il rilancio dell’occupazione, proposto dal Ministro del lavoro Giuliano Paoletti, ecco cosa prevede: una durata dei contratti a tempo determinato più lunga, da 12 a 36 mesi, si tratta di quelli senza causale, ovvero senza obbligo di specificare il motivo dell’assunzione ma, con questo tipo di contratto, non potranno entrare più del 20% degli assunti. I contratti a tempo determinato, come in precedenza, saranno rinnovabili fino ad un massimo di otto volte nell’arco di tre anni, solo per ragioni oggettive e nell’ambito della medesima attività lavorativa. Abolito l’obbligo di pausa tra un contratto e l’altro. Meno vincoli per i contratti di apprendistato, ovvero, per assumere nuovi apprendisti non sarà necessario confermare i precedenti una volta ultimato il percorso formativo, questi avranno diritto ad una busta paga pari al 35% della retribuzione prevista dal contratto di inquadramento. Verrà abolito anche il ‘Documento unico di regolarità contributiva‘ e sostituito da un modulo da compilare on-line, diventa così meno formale e più snella la documentazione relativa agli obblighi legislativi e contrattuali delle aziende nei diventa così meno formale e più snella la documentazione relativa agli obblighi legislativi e contrattuali delle aziende nei confronti di Imps, Inail e Cassa edile.
Una maggiore elasticità tutta a favore delle aziende che vedono regolamentazioni più snelle per le assunzioni, i contratti e la previdenza, mentre, pare non sia prevista la creazione di posti di lavoro in più. Si tratta, quindi, di una legislazione d’urgenza in un periodo di crisi e di disoccupazione alle stelle che va a detrimento della domanda di lavoro. E, infatti, il decreto è stato duramente criticato da parte di alcuni sindacati, in particolare la Cgil e la Fiom. Susanna Camusso, leader della Cgil considera il provvedimento inadatto a contrastare il precariato, lo status di lavoratore apprendista o alle prime esperienze diventa sempre più incerto e sempre più precario, facile da licenziare, intercambiabile con altri dopo la formazione, provato e sottopagato, alla mercé delle scelte dirigenziali o di politica aziendale. Sembra sempre più difficile la possibilità di un posto a tempo indeterminato e la garanzia di una stabilità previdenziale come contro-partita al lavoro prestato che, in questo modo, perde il proprio valore. Si è creata, così, un’altra forma di precarietà, quella dei contratti a-causali con la possibilità di licenziare chi ha prestato lavoro dopo tre anni, senza apporre specifica motivazione. Questo è quanto emerge anche dall’incontro a Berlino tra Renzi e Angela Merkel: l’economista Emiliano Brancaccio lo ha definito «uno scambio tra un po’ meno di austerità e un po’ più di precarietà del lavoro». È emerso il rischio di compressione della domandainterna in favore del contenimento della spesa pubblica e del vincolo del Pil al 3%. La Cancelliera sarebbe, perciò, favorevole a tollerare un debito pubblico più alto, purché il Governo Renzi presti maggiore attenzione al mercato del lavoro, solo nel 2013 si sono persi 413mila posti di lavoro (dati Istat). Maggiore attenzione in riferimento al disegno di legge delega, in via di conversione in legge, in cui sono contemplate altre importanti tematiche parti del Jobs-act, come: ammortizzatori sociali, sussidio di disoccupazione al salario minimo, riduzione delle forme contrattuali di tutela per le donne in maternità. I tempi più lunghi per l’approvazione di tali riforme, permettono un’approfondita riflessione.
La dura critica dell’insigne sociologa Chiara Saraceno si concentra sull’effetto del decreto sull’occupazione di giovani e donne, queste le sue considerazioni: « L’ulteriore flessibilizzazione dei contratti di lavoro, con la possibilità di rinnovare quelli a termine fino a otto volte in tre anni, significa la possibilità di spezzettare un rapporto di lavoro in contratti di quattro-cinque mesi, salvo ricominciare da capo, con un nuovo lavoratore/lavoratrice allo scadere dei tre anni. Se questo è il modo di investire sui giovani, di offrire loro un orizzonte di vita meno incerto dell’attuale, mi sembra che non ci siamo proprio.
Per le donne, poi, vi saranno costi aggiuntivi. La possibilità di fare contratti brevi, rinnovabili più volte, consentirà ai datori di lavoro di ignorare del tutto legalmente la norma sul divieto di licenziamento durante il cosiddetto periodo protetto». È nulla la risposta alla richiesta di contratto unico da concertare con le parti sociali.