La storia infinita

Il processo di pace in Medio Oriente sta sperimentando una delle più gravose battute d’arresto dalla tregua raggiunta nel 2012 e si tinge di atmosfere che sembrano uscite da un romanzo di Ian Fleming. È di appena qualche giorno fa la scoperta di un tunnel fra Gaza e il Neghev che, secondo Israele, sarebbe stato utilizzato per «fini terroristici» (fonte Ansa).

Nuovi motivi di attrito sono sorti a seguito della confisca di armi sulla nave Klos – C diretta a Gaza. Mentre Tel Aviv passava in rassegna l’arsenale sequestrato sulla nave cargo di provenienza Iraniana destinata – secondo il governo di Israele – a rifornire Hamas e intercettata dalla marina militare Israeliana, a Jabalya Hamas faceva sfoggio del monumento ai missili ‘M-75’ lanciati verso il territorio ebraico.

La rinnovata escalation di ostilità ha avuto inizio l’11 marzo scorso con l’attacco jihadista all’esercito Israeliano, a cui è seguita una rappresaglia che ha condotto alla morte di tre miliziani a est della città di Khan Yunes. La jihad ha rivendicato la rappresaglie e Israele ha risposto con nuovi bombardamenti aerei. Anche se la paternità degli attacchi è da ascrivere direttamente al movimento jihadista, non sembra essi siano avvenuti senza l’acquiescenza di Hamas, che peraltro è stata recentemente disconosciuta in Egitto per via dei suoi legami con la Fratellanza Musulmana. {ads1}

A seguito delle nuove incursioni, il premier Benjamin Netanyahu ha intimato «Se non ci sarà calma nel Sud di Israele, presto ci sarà un rumore assordante a Gaza»; dello stesso tenore la reazione del Ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, che ha prospettato addirittura l’ipotesi di rioccupare militarmente il territorio. A tali dichiarazioni ha fatto da contraltare la risposta del Presidente Palestinese Abu Mazen, che ha richiesto che Israele cessi «l’escalation militare contro la Striscia di Gaza assediata». È di domenica la lettera dell’Incaricato d’Affari della Missione permanente della Palestina alle Nazioni Unite indirizzata al Segreatario Generale, al Consiglio e all’Assemblea, in cui si invoca l’attenzione mondiale sulle ripercussioni dell’attuale situazione.
Immediata la reazione della Comunità Internazionale: il Segretario di Stato Americano John Kerry ha criticato la posizione di Israele di richiedere, come premessa per un accordo di pace, il riconoscimento del proprio Stato da parte della Palestina. Un recente rapporto delle Nazioni Unite, inoltre, ha sottolineato che gli insediamenti nella West Bank sono raddoppiati nel 2013 e come questo confligga con qualunque velleità di pace.
Nonostante i negoziati condotti sotto l’egida degli Stati Uniti e i ripetuti proclami a favore della soluzione dei due Stati, questo stillicidio continuo a colpi di drone e di mortaio fa apparire la stabilità in Medio Oriente appare, oggi, più lontana che mai.

Claudia Pellicano

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