Il lavoro che rende liberi di essere servi
Mentre più del 40% dei giovani non riesce a trovare un’occupazione, le misure annunciate dal governo in materia di contratti a termine sembrano andare verso l’aumento e la normalizzazione del lavoro precario. Poco importa dunque delle rassicurazioni, perché la precarietà sembra essere diventata definitivamente il nostro orizzonte.
Già verso la fine degli anni ottanta il sociologo Pierre Bourdieu aveva analizzato i rischi legati alla crescita del lavoro precario. Nella sua riflessione, oggi assolutamente attuale, la precarietà viene riconosciuta non solo una forma del lavoro ma soprattutto come una condizione esistenziale deleteria, poiché l’insicurezza determinata da una vita lavorativa perennemente a rischio comporta, secondo il sociologo francese, l’impossibilità di progettare il proprio futuro. In questa indeterminatezza, inoltre, non si può che contare sulle proprie forze, poiché a causa dell’individualizzazione subentrata nel mondo del lavoro non riescono a emergere soggetti socio-politici in grado di contrastare le contraddizioni e le sperequazioni sociali che sussistono e diventano sempre più evidenti. Per questi motivi la forza lavoro precaria è una forza lavoro resa terribilmente docile dal terrore dell’indigenza e dalla consapevolezza della propria sostituibilità e conseguente poca importanza. {ads1}
In una condizione simile il dibattito scaturito in seguito alla presentazione del DL Poletti, contrastato subito non solo da cgil e fiom ma anche da uomini interni alla maggioranza di governo come l’ex vice-ministro all’Economia Stefano Fassina e il presidente della Commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano, più che di amaro sa di ridicolo. Decreto più decreto meno, infatti, poco cambia per chi è abituato a fare della precarietà il cemento con il quale tirar su i muri della propria casa. Non sarà certo il decreto Poletti a rendere centrale l’uso del contratto a termine rispetto a quello indeterminato, perché esso è già al centro delle vite di moltissimi lavoratori che, nella maggior parte dei casi, devono anche ritenersi fortunati di averlo.
C’era un tempo, nemmeno troppo distante, in cui la critica della società e la filosofia pensavano a quale potesse essere la via da percorrere per la liberazione dell’umanità dalla necessità del lavoro. Oggi invece ci si calpesta per accaparrarsi un pezzo di lavoro qualsiasi senza rendersi conto delle vere possibilità di libertà insite all’interno della società. Forse più che i tempi sono cambiati le persone, troppo veloci e desiderose, quando per fortuna gli è concesso, di conquistare una situazione, la precarietà, che le rende autenticamente serve: perché nei suoi vortici non perdiamo tanto la possibilità di una stabilità, né la sussistenza economica che in qualche modo riusciamo a sfangare, quanto la capacità di immaginare un domani, perché siamo troppo impegnati a sopravvivere oggi restando in balìa dei nostri padroni.