Un ‘si’ concertato
Positivo l’esito del referendum del 16 marzo scorso e la Crimea è entrata a far parte della Federazione Russa. La firma di Putin al Cremlino ha suggellato l’accordo con i dirigenti della Crimea e di Sebastopoli che ora entrano a tutti gli effetti nella Federazione Russa.
L’accordo attende di essere ratificato dal Parlamento con una nuova legge. Insieme i tre leader: il Primo Ministro Putin, il premier e il presidente del parlamento crimeano, Serghiei Aksionov e Vladimir Kostantinov, e il sindaco di Sebastopoli, Alexiei Cialyi, dopo la firma, hanno intonato l’inno russo.
L’Ucraina ha bocciato l’esito referendario come illegale e l’UE ha prontamente richiesto la sospensione della Russia dal G8. Il Ministro degli esteri francese Fabius ha dichiarato infatti: « Per la riunione del G8 prevista per giugno, abbiamo deciso di sospendere la partecipazione della Russia». L’accusa di illegalità del referendum in Crimea è sostenuta con forza dal presidente Obama, Putin, però, ribadisce che il procedimento di consultazione popolare si è svolto nel pieno rispetto del diritto internazionale.
Comunque Obama mantiene costanti contatti con la Merkel per mantenere una stessa linea di azione nei confronti dell’Ucraina. Per l’Ucraina, le modalità del referendum svolto in Crimea non sono state del tutto trasparenti e la scelta è stata una forma di coercizione da parte della Russia per avere il controllo di questo importante territorio. Il risultato, ovvero la vittoria del ‘si’ con quasi il 97% dei voti popolari, è una sorta di plebiscito che sta ad indicare una scelta coatta come alternativa ad una guerra che sarebbe stata devastante. In ogni caso la Crimea non è territorio indipendente e perde ora dopo anni quella autonomia agognata durante il comunismo russo e finalmente acquisita dopo la disgregazione dell’URSS. La Crimea è di nuovo una pedina di Madre Russia. L’iglobamento di questo territorio è anche un modo per gestirne le sorti politiche, quella che ora Putin definisce una « parte inalienabile della Russia» è stata per anni lasciata a sé stessa con le proprie contraddizioni e parte di un territorio Ucraino che tanto ha lottato per la propria indipendenza. Anche il primo ministro ucraino Arseni Iatseniuk è del tutto contrario all’esito referendario e in accordo con la linea scelta dal presidente Obama che rivendica un previo accordo tra Putin e il parlamento crimeano, come una scelta di strategia politica da tempo concertata. L’interesse di Mosca è per gli sviluppi politici della regione, lo smembramento dell’Ucraina viene visto con preoccupazione dagli Stati Uniti e dall’Ue e hanno previsto importanti sanzioni contro gli ex-leader ucraini.
La giustizia ucraina ha intanto già emesso mandati d’arresto per il premier e per il presidente del parlamento (Rada) della Crimea, Serghii Aksionov e Vladimir Kostantivov per lo strappo consumato oggi. Mentre il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius ha lanciato l’allarme: «Se una regione qualsiasi di un qualsiasi Paese decide, in contraddizione con la sua Costituzione, di unirsi a un altro Paese che lo ha incoraggiato a farlo, vuole dire che non c’è più la pace internazionale, né frontiere certe». Simile il pensiero del presidente della Banca centrale europea Mario Draghi: «I rischi geopolitici legati alla crisi in Ucraina sono notevoli e potrebbero generare conseguenze imprevedibili». L’Ucraina ha mobilitato le sue truppe e la NATO guarda con sospetto all’annessione, considerandola una minaccia e un evento in grado di scuotere gli assetti geopolitici internazionali dopo le vicende della Guerra Fredda.