Libri Come e la fotografia
Tra i diversi percorsi che si potevano intraprendere per muoversi tra le strade letterarie di questi quattro giorni di Libri Come, uno di quelli forse meno evidenti era il rapporto tra parole e fotografia. Quando l’arte è anche un lavoro, e spesso ha un’altra parola chiave: testimonianza.
A mostrare l’intima vicinanza del raccontare con la penna e con la macchina fotografica sono stati in particolare due progetti, entrambi legati alla casa editrice Contrasto: il libro A occhi aperti di Mario Calabresi e la mostra Scrittori (a sua volta nata dall’omonimo libro di Goffredo Fofi, Contrasto, 2013). Con Giovanni De Mauro e Angelo Rinaldi, alla presentazione di Calabresi, giornalista e direttore della Stampa, sono state le immagini a parlare per prime nella proiezione di un video realizzato con alcune delle fotografie presenti nel libro edito da Contrasto. E proprio avendo in mente tre immagini simbolo Calabresi aveva intrapreso il suo progetto: raccogliere le interviste di dieci fotografi tra i più illustri e premiati al mondo, per sentire e capire da loro la descrizione dei «momenti in cui la storia si è fermata in una foto». I dieci racconti fatti all’autore dai fotografi sono diversi, come diverse sono le loro vite e i loro progetti fotografici: da Gabriele Basilico che ha fotografato quasi solo architetture (dovendo cedere, però, a immortalare un gruppo di persone in un angolo di un’istantanea a Shangai, perché anche con un attesa di ore «lì è impossibile che non ci sia nessuno»), ai reportage in bianco e nero di Paolo Pellegrin o di Sebastiao Salgado, dai soggetti a colori forti di Alex Webb, allo sfocato delle foto dal treno di Paul Fusco.{ads1} La fotografia si lega alla vita, come mostrano le storie di Josef Koudelka che, costretto all’esilio, vede per la prima volta le sue foto stampate quando casualmente sfoglia le pagine di un giornale che le ha pubblicate anonime; o di Abbas che rivendica imperativo «io sono nato fotografo» perché già a undici aveva maturato la sua volontà di capire e raccontare la guerra che stava vivendo. La sofferenza vissuta scattando fotografie di morte e dolore rimane dentro e si trasforma in fantasmi in bianco e nero che perseguitano Don Mc Cullin come altri suoi colleghi. Il filo comune, il solo che può e deve essere presente per chi voglia raccontare facendo fotografia, è la necessità di essere non solo vicini, ma dentro alla storia e di vivere sulla propria pelle ciò che si sta imprimendo sulla pellicola. Lo dichiara anche Steve Mc Curry, mostrando a Calabresi i segni lasciati sul suo corpo dalle sanguisughe. Per il suo reportage sui monsoni, aveva capito di poter fotografare solo immergendosi anche lui, come la gente del posto, con le braccia alzate a proteggere la macchina: non da una barca o dai ponti troppo lontani, e nemmeno con l’acqua alle ginocchia e gli stivali di gomma che impediscono i movimenti.
Questa vicinanza accomuna chi fotografa e chi racconta le notizie. Per questo, come dice Calabresi, «questo non è un libro sulla fotografia, ma sul giornalismo, sull’essenza del giornalismo»: lezione importante, capace anche di dare forza all’autore quando, proprio durante la stesura del suo testo, risulta sparito da due mesi (un sequestro che durerà ancora altro tempo) il suo amico e collega Domenico Quirico, partito in Siria per ostinazione, dopo aver già vissuto l’esperienza un altro rapimento pochi anni prima. Nel corso della presentazione si parla più volte dell’importanza della vicinanza a ciò che si racconta. E la vicinanza diventa etica, quando Calabresi ricorda le sue conversazioni con Quirico: si potrebbe scrivere della guerra dal confine, attraverso i racconti dei fuggitivi. Ma questo «è immorale». Parole forti come le immagini che abbiamo visto nel corso della presentazione e come lo splendido libro di Calabresi. Parole che acquistano ancora più significato all’interno di una manifestazione come Libri Come di quest’anno che ha, come tema, il Lavoro.
Per passare all’altro progetto proposto nel corso della manifestazione, possiamo citare la risposta di Elliott Erwitt – il decimo fotografo di cui parla A occhi aperti – a proposito della diffusione dei dispositivi fotografici e al suo parallelo con la letteratura:”tutti possono avere una matita e un pezzo di carta, ma pochi sono i poeti”. Di poeti parla Scrittori. La fotografia incontra la letteratura, un progetto realizzato da Contrasto in collaborazione con la Fondazione Musica per Roma, all’Auditorium fino al 21 Aprile. Non si tratta di una vera e propria mostra con oggetti da analizzare e giudicare: l’esposizione è fatta per circondare gli osservatori e per mostrare la grandezza della letteratura. Il pubblico di Libri Come viene guidato lungo il foyer e verso le sale interne dell’Auditorium da ventisette grandi pannelli appesi in alto alle pareti: sono ritratti, famosi o insoliti, di celebri scrittori internazionali del secolo scorso, realizzati da importanti fotografi e accompagnati da brevi testi degli autori fotografati. Gli occhi del fotografo, con la scelta dell’inquadratura, dei colori e dell’espressione ritratta, riescono magari a racchiudere, in un’istantanea semplice e irripetibile, quello che, dei grandi scrittori, abbiamo conosciuto solo dalle loro parole.
Mario Calabresi, A occhi aperti, Contrasto, 207 pp., € 19,90. Scheda libro e scheda mostra: www.contrastobooks.com