IL LICENZIAMENTO LEGITTIMO

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4723 del 27 febbraio 2014, ha affermato che “in tema di licenziamento, è irrilevante, ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, e, quindi, della sussistenza della giusta causa di licenziamento, l’assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale a carico del datore di lavoro, mentre ciò che rileva è la idoneità della condotta tenuta dal lavoratore a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento della prestazione lavorativa, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti”.

Nella fattispecie all’esame della Suprema Corte una lavoratrice, dipendente di un’Associazione di servizi psico-pedagogici, con la qualifica di “tecnico della riabilitazione”, veniva licenziata per giusta causa costituente nello sviamento della clientela al fine di favorire altro centro.
La motivazione della Corte d’appello – secondo gli ermellini – è congrua in relazione a tutti gli aspetti rilevati nella valutazione, avendo avuto riguardo alle concrete modalità dei fatti, allo sviamento della clientela, alla reiterazione e persistenza nel tempo dello stesso, alla natura delle mansioni ed al permanere della situazione di fatto che aveva determinato la condotta pregressa, rendendo fondato il timore di reiterazione della stessa.

In particolare la fase istruttoria svolta presso il Tribunale di primo grado aveva consentito di rilevare che la lavoratrice aveva in effetti sviato la clientela, con riferimento in particolare a tre minori, favorendo un altro centro. Il tutto emergeva, da una deposizione in particolare, in cui la teste aveva reso una deposizione molto circostanziata, ricca di particolari, precisione nella descrizione dei fatti ed ampiamente riscontrata dagli altri testimoni ed informatori.
Tale struttura ad avviso della Corte era effettivamente in concorrenza con il centro presso cui era dipendente la lavoratrice in considerazione del fatto che operava nel medesimo territorio, l’attività prevalentemente svolta riguardava l’assistenza ai bambini ed, inoltre, venivano svolti anche trattamenti da una logopedista che era anche ella dipendente del centro. La presenza della lavoratrice nel centro in cui “sviava la clientela”, inoltre, era stata connotata dalla partecipazione all’attività nello stesso, di proprietà della sorella, concretatasi in accompagnamento dei bambini e partecipazione ai corsi.

Tali fatti risultavano dunque idonei, ad avviso della Corte, a giustificare il licenziamento, in quanto ponevano le premesse per uno sviamento della clientela, ulteriore ai tre casi già verificatisi, considerato anche che la posizione della lavoratrice, a contatto con la clientela, nonché la contemporanea operatività dell’altra struttura, potevano far presumere la protrazione della condotta.
Quanto all’assenza di danno, si tratta di un elemento che la Corte d’Appello ha ritenuto non essenziale per la valutazione della gravità della condotta.

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